Vengono per ultimi ma inevitabilmente arrivano. Il virus Sars-Cov-2 presenta il suo conto economico per la sanità ed il conto è molto salato. Del resto, considerato il numero di vaccinati e di vaccinazioni erogate, di infettati, di ricoverati (terapie intensive comprese), e di deceduti, non poteva essere diversamente: la sanità è già molto costosa di per sé in tempi tranquilli, figuriamoci di fronte ad una situazione di emergenza che si prolunga da due anni e mezzo.



Si era già appalesato sporadicamente in precedenza, ma adesso il grido di dolore dei manager sanitari, ed in particolare di quelli ospedalieri, non rappresenta più solo una occasionale e generica lamentela, bensì è diventato una esplicita e generalizzata richiesta di intervento: si chiede alla politica (ma di più al governo) di mettere mano al portafoglio per chiudere almeno con una pezza i buchi che si sono creati, anche se il dibattito pre-elettorale non sta dedicando molto interesse ai temi sanitari ed assistenziali.



Che servano più risorse per sostenere il Servizio sanitario nazionale è chiaro anche al ministro (come ha riaffermato di recente nel suo intervento al Meeting per l’amicizia tra i popoli che si è tenuto a Rimini), che da una parte rivendica il suo operato (3 miliardi in più ogni anno rispetto al solo 1 miliardo in più ogni anno dei suoi predecessori) ma dall’altra riconosce che non basta e che occorre fare di più. Già, ma chi deve fare (in questo caso, mettere risorse) di più se non il ministro stesso ed il suo Governo? Non si tratta certo di stampare moneta, ma almeno di scegliere priorità nel dove mettere i soldi (tanti o pochi) che ci sono.



Il periodo, economicamente parlando, appare piuttosto critico: la guerra in Ucraina ci ha già messo molto del suo (e sta continuando), il costo dell’energia fa arrivare a casa bollette stratosferiche, l’inflazione sta erodendo le risorse dei cittadini e aumentando soprattutto il numero di quelli che faticano a tirare la fine del mese, e ci fermiamo qui per non entrare anche noi a far parte di coloro che sono capaci solo di “geremidiare”. Certo è che in questo contesto chiedere soldi ulteriori per la sanità non è impresa facile: se poi ci aggiungiamo qualche proposta (o supposta tale, salvo ritrattazione) che suggerisce di togliere risorse alla sanità per metterle allo sport il quadro delle difficoltà si chiude in gloria.

Ma hanno ragione i manager sanitari a lamentarsi dei costi aggiuntivi che la pandemia sta producendo?

Con questo contributo si vuole provare a dare un valore numerico reale e concreto a questi costi sulla base di uno studio recente condotto dai ricercatori della Liuc di Castellanza (Centro sull’Economia e il Management nella Sanità e nel Sociale), studio condotto relativamente al periodo febbraio-dicembre 2020 in sei ospedali di Piemonte, Lombardia e Veneto, con l’obiettivo di determinare i costi ospedalieri e riabilitativi di pazienti positivi al Covid-19. Sono stati esaminati 4.170 pazienti (ricoverati in 34 reparti), 76% maschi, con età media di 62,9 anni (range da 36 a 95 anni). I costi valutati hanno riguardato le risorse umane, gli esami di laboratorio e le procedure diagnostiche, i farmaci somministrati, la terapia con ossigeno, gli strumenti, i mezzi di protezione individuale, il vitto ed i servizi di pulizia, ed i costi fissi e generali (per i dettagli dello studio si veda la pubblicazione originale su Health Services Research).

I soggetti sono stati suddivisi in tre gruppi a diversa complessità: bassa, cioè ricovero senza necessità di ventilazione (40,1% dei soggetti, durata media 12,2 giorni); media, ricovero in letti attrezzati con C-PAP o ventilazione non invasiva (49,9% dei soggetti, durata media 11,4 giorni); alta, ricovero in terapia intensiva (10% dei soggetti, durata media 11,3 giorni). Maggiore la complessità del caso e maggiori sono risultati i costi: ogni giorno di ricovero di un soggetto a bassa complessità è costato mediamente 476 euro, per un soggetto a media complessità 700 euro, e per un soggetto ad alta complessità 1.402 euro.

Come sono risultati ripartiti i diversi tipi di costi nelle tre casistiche esaminate? La tabella 1 ce lo indica, evidenziando che il trattamento ospedaliero di un caso di bassa complessità è venuto a costare 5.786 euro, quello di un caso di media complessità è costato 7.973 euro, ed un caso di alta complessità 15.858 euro.

Tabella 1. Ripartizione dei costi ospedalieri (euro) in funzione della complessità del caso

Il costo più importante (tra il 35% ed il 40% del totale a seconda della complessità del caso) è quello per il personale sanitario (medico e infermieristico), seguito dalle terapie con ossigeno (14-17%) e dalle procedure diagnostiche al letto del paziente (10-13%). Per i mezzi di protezione individuale si sono spesi mediamente 134 euro per ogni caso trattato.

Ai costi ospedalieri sono stati aggiunti quelli per le attività di riabilitazione, che sono risultati nulli per i soggetti di bassa complessità, di 2.961 euro per la media complessità e di 5.802 euro per i soggetti di alta complessità.

La tabella 2 riassume i costi complessivi, ospedalieri e riabilitativi, suddividendo i soggetti in otto diversi percorsi di cura in funzione della complessità del caso al momento dei trattamenti di accesso e della successiva evoluzione delle cure.

Tabella 2. Costi complessivi (euro), ospedalieri e riabilitativi, del trattamento in funzione dei percorsi di cura adottati

Si passa dai quasi 6.200 euro per il trattamento di un soggetto che ha richiesto solo cure di bassa complessità senza riabilitazione, agli oltre 32.000 euro per un soggetto di complessità media che poi è evoluta (alta) ed ha richiesto più riabilitazione.

I costi documentati sono stati considerati dal punto di vista delle prestazioni erogate dall’ospedale: in questo modo non sono presi in esame tutti gli altri elementi di costo economico attribuibili alla pandemia (lockdown, mancata o ridotta produzione, attività di prevenzione individuale e collettiva, erogazione di vaccini, …), così come non sono stati presi in considerazione elementi di costo legati alle mancate entrate ospedaliere (riduzione delle attività in elezione, riduzione delle prestazioni ambulatoriali erogate, …) a causa della pandemia.

Nell’ipotesi che i costi medi riportati in tabella 2 siano rappresentativi di tutta la casistica italiana dei soggetti positivi al virus e ricoverati e che la composizione percentuale di questi soggetti nei diversi percorsi di cura sia conforme a quella osservata nel campione che è stato studiato dai ricercatori della Liuc, moltiplicando i costi di ogni episodio per il numero di persone ricoverate in ospedale (circa 660.000 secondo i dati dell’Iss fino ad agosto 2022) si ottiene il carico economico complessivo di costo ospedaliero attribuibile alla pandemia. Fino ad oggi, secondo queste stime, la pandemia sarebbe costata agli ospedali italiani in due anni e mezzo più di una decina di miliardi di euro: 3,7 mld nel 2020 (244.027 ricoveri), 3,6 mld nel 2021 (236.394 ricoveri) e 2,8 mld nel 2022 fino al 31 agosto (181.820 ricoveri).

Si può presentare il conto al ministro chiedendo di integrare il Fondo sanitario nazionale (Fsn) con questi extra-costi? La tentazione è forte e certamente qualcuno lo farà, ma non sarebbe una operazione del tutto corretta dal punto di vista tecnico: infatti, alcuni costi sicuramente sono extra-costi non previsti nel Fsn e riconducibili solo alla pandemia (esempio: mezzi di protezione individuale, ossigeno, parte degli esami di laboratorio e delle procedure diagnostiche, esteso utilizzo delle terapie intensive, …), altri invece sono costi che in gran parte ci sarebbero stati comunque ma dedicati ad altre attività ospedaliere (esempio: risorse umane, alimentazione e pulizia, costi fissi e generali, …). Crediamo di andare piuttosto vicini al vero indicando un extra-costo intorno al 50% del costo totale stimato, e cioè circa 5 miliardi in due anni e mezzo (2 miliardi all’anno).

Quanto detto, da una parte rende conto di come sia complicato fare un conto complessivo vero degli effetti economici totali della pandemia, ma dall’altra conferma la rilevanza anche economica che ha avuto l’infezione nell’aumentare la spesa ospedaliera di questi anni.

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