Non sono mancati, in questi giorni, i paragoni tra i rischi di un’escalation nel conflitto in corso tra Israele e Hamas e la Guerra dello Yom Kippur che 50 anni fa ebbe tra le sue conseguenze una crisi petrolifera di dimensioni globali. Come ci spiega Davide Tabarelli, Presidente di Nomisma Energia, sul mercato petrolifero «per il momento non è successo granché: i prezzi erano in ribasso e hanno interrotto questa discesa una settimana fa. Tra gli operatori ci sono, infatti, timori sulla posizione che avranno i Paesi moderati del Medio Oriente, in particolare l’Arabia Saudita che oggi, come 50 anni fa, condiziona di fatto il mercato essendo il più grande esportatore di petrolio al mondo. Probabilmente i prezzi dei carburanti torneranno a superare i 2 euro al litro in alcuni distributori. In questo momento sui mercati l’unica certezza è l’incertezza».
Si potrebbe arrivare a conseguenze come quelle di 50 anni fa?
Certo, si potrebbe perché fisicamente il petrolio viene principalmente dal Medio Oriente. C’è da dire che a differenza di allora, adesso il Qatar è tra i maggiori esportatori mondiali di Gnl e ha tra i suoi primi clienti l’Europa, vista la sua necessità di sostituire le forniture russe. Oggi, oltretutto, la disponibilità di Gnl è tra i fattori che più incidono sul prezzo del gas in Europa. Quest’ultimo, pertanto, se ci fosse un allargamento del conflitto, potrebbe vedere una nuova impennata, che farebbe risalire l’inflazione e frenerebbe ulteriormente l’economia.
La situazione potrebbe, quindi, essere peggiore rispetto a 50 anni fa?
È difficile da dire, perché l’Arabia Saudita per il momento non intende prendere particolari provvedimenti in grado di far salire il prezzo del petrolio. D’altra parte, però, per l’Europa ora la dipendenza non riguarda solo il petrolio, ma anche il gas. C’è poi un aspetto da non dimenticare: rispetto a 50 anni fa, i consumi di petrolio sono cresciuti di due terzi, quindi il mondo è ancora più dipendente dal greggio nonostante le politiche approvate, gli sforzi compiuti e le risorse spese sulle energie alternative. Già allora si riparlava di idrogeno, di auto elettrica, ma alla fine dopo 50 anni siamo ancora estremamente dipendenti dall’oro nero.
Quindi, in caso la situazione si aggravasse, ci sarebbe il rischio di aumenti non solo per il pieno al distributore, ma anche per le bollette.
Sì, perché il mercato del gas è già in difficoltà in Europa. A causa della guerra in Ucraina e lo stop parziale alle forniture russe, è tirato e basta poco per far aumentare i prezzi, che poi influiscono anche su quelli dell’elettricità. Ultimamente c’è stato un rialzo solo a causa di scioperi in Australia e guasti nel Mare del Nord, figuriamoci cosa potrebbe accadere se si temesse un blocco dell’export di Gnl dal Qatar.
Tutto questo nonostante si parli di stoccaggi di gas pieni al 97% nell’Ue…
Le scorte sono altissime, ma se l’inverno fosse rigido, all’approssimarsi della primavera non sarebbero sufficienti a coprire eventuali impennate di consumi giornalieri.
Resta anche il problema di essere agganciati a un indice, il Ttf, che riguarda lo scambio di quantità marginali di gas.
In questo caso, purtroppo, non sembra esserci rimedio, ma deve essere chiara una cosa: il Ttf non è la causa della salita dei prezzi, ma è il termometro che indica una scarsità strutturale. Quindi, anche se l’indicatore di riferimento fosse un altro, non cambierebbe questo problema di fondo.
Gli Stati Uniti, come mostra l’operazione Exxon-Piooner, cercano la sicurezza energetica investendo negli idrocarburi. Che risposta ci sarà da parte dell’Europa? Continuerà a cercare di diminuire la sua dipendenza dalle fonti fossili?
Sì, come ha fatto finora, dato che è sempre stata povera di risorse energetiche. Il petrolio resta la prima fonte di copertura per la domanda energetica mondiale e gli Stati Uniti hanno la possibilità di essere più indipendenti su questo fronte. In Europa si continueranno a cercare alternative, ma dobbiamo stare attenti ed essere consapevoli che serviranno comunque sempre gli idrocarburi.
Servirà ricorrere maggiormente al nucleare?
Certo. Non è da solo la soluzione, ma fa parte della ricetta per ridurre la dipendenza energetica, in particolare se si vuole spingere sull’elettrificazione dei trasporti.
(Lorenzo Torrisi)
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