Nella presente emergenza sanitaria, le forme e le condizioni della nostra vita sono state sottratte alla nostra libera scelta per dipendere in tutto dalle autorità di governo. Abbiamo anche conosciuto le discussioni e le polemiche su come è stato regolato lo “stato di emergenza”, dichiarato dal Consiglio dei ministri il 31 gennaio di quest’anno e valido per la durata di 6 mesi: tutto è successo per mano del Governo mente il Parlamento, in apparenza, taceva.



All’origine di questi cambiamenti strutturali, quand’anche temporanei, si spera, c’è un fatto: l’epidemia, che ha unito emergenza sanitaria a emergenza istituzionale. Ne è sortita una generale incertezza su quali fossero le misure più adatte per farvi fronte, se chiusure totali o parziali dei territori, se semplici limitazioni (della libertà di movimento) o se consigli o suggerimenti senza forza vincolante. E, poi, il fiorire di una quantità considerevole di “decreti” e di “ordinanze”, atti di governo senza riscontro parlamentare, dai contenuti a volte discordanti.



Il disordine dei contenuti si è riverberato su un disordine del sistema di produzione del diritto, normalmente ordinato gerarchicamente: al vertice la Costituzione, poi le norme di primo grado emanate dal Parlamento (le leggi e gli atti aventi forza di legge) e, di seguito, i regolamenti del governo, atti amministrativi emanati senza partecipazione del Parlamento. Sono questi ultimi che tutti andiamo a leggere per capire che fare, benché in un sistema costituzionale ordinario gli atti amministrativi non possano adottare norme limitative delle libertà (personale, di movimento, di culto…) perché, a questo scopo, la Costituzione prevede una riserva di legge: spetta cioè solo alla legge, in quanto atto del Parlamento, porre limitazioni alle libertà. Eppure l’emergenza è stata più forte di questo antico principio, base del costituzionalismo.



È uno stato di cose giustificabile? Basta l’emergenza a spiegare tutto?

Certamente no, ed è per questo che, per far fronte all’emergenza, il Governo italiano ha fatto ricorso – dopo qualche esitazione, in verità, ma alla fine in modo abbastanza tempestivo – allo strumento che la Costituzione prevede per i casi di necessità e urgenza, il decreto-legge, che si chiama “decreto” ma che ha un’immediata forza di legge e che comporta un intervento di ratifica (conversione in legge) dal parte del Parlamento entro 60 giorni dalla sua emanazione.

Così è stato per il decreto legge 6/2020, emanato in data 23 febbraio 2020, che prevedeva la possibilità per il Governo di emanare dei decreti attuativi delle misure scrupolosamente elencate in tale decreto, secondo la catena discendente delle fonti prevista dalle norme che regolano la produzione del diritto, anche con la partecipazione (parere) dei Presidenti delle Regioni nel caso in cui gli atti del Governo riguardassero parti specifiche del territorio nazionale. Tale decreto legge è stato convertito in legge il 5 marzo 2020 mentre è stato poi emanato un ulteriore decreto legge, in data 25 marzo 2020, che ha in parte sostituito e in parte integrato il decreto legge originario. Tale secondo decreto è in fase di conversione da parte del Parlamento.

Queste, ad oggi, le fonti che regolano il nostro stato di vita e di lavoro, unitamente agli atti regolamentari (i famosi Dpcm) che danno attuazione alle norme previste in questi atti, i due decreti legge citati, che sono leggi a tutti gli effetti. La legittimazione che deriva agli atti di governo dai decreti legge può anche essere solo formale (cioè, di fatto le decisioni sostanziali vengono prese dal Governo senza interazione con i rappresentanti del popolo, chiamati solo a ratificare ex post le scelte governative) ma, di nuovo, il tempo di crisi ha le sue logiche e le sue necessità e possono servire a dare una giustificazione – temporanea – a queste limitazioni.

Due questioni sono ora sul tappeto: il ruolo del Parlamento e i contenuti di queste fonti, che palesemente interferiscono con le libertà di cui tutti godiamo in tempi ordinari. Su quest’ultimo punto, è molto giusto che vi sia una discussione in atto: in democrazia discutere, criticare, mantenere vivo il senso civico fino a invocare cambiamenti di rotta è fondamentale. Se limitare la libertà dei cittadini in modo arbitrario e senza ragione fosse stato fatto, sarebbe un vulnus grave alle nostre istituzioni. Ad oggi, si può dire che vi erano – e forse vi sono ancora – ragioni giustificatrici (tecniche e politiche) delle scelte fatte e di quelle che si prospettano, così come è giusto che tali scelte subiscano critiche e contestazioni, finalizzate a modificarle. Ma, a parere di chi scrive, ad oggi – e forse ancora per poco – si è ancora nell’ambito del plausibile.

E il ruolo del Parlamento? Indubbiamente esso è stato sovrastato dalle decisioni dell’Esecutivo (e anche dal prevalere in sede mediatica dell’Esecutivo stesso). Ha convertito in legge il primo decreto legge, ha visto il Governo decidere su tutte le misure economiche di contrasto alla crisi senza alcuna discussione, lavora a ranghi ridotti per le misure anti-Covid-19… Non c’è dubbio che occorra tornare alla normalità, alla normale dialettica tra Governo e Parlamento, quella secondo cui il Governo dà attuazione all’indirizzo politico rispondendo al Parlamento stesso, e alla dialettica parlamentare tra maggioranza e opposizione, senza della quale non vi è normale democrazia.

Così ci ha ricordato la Corte costituzionale, nella persona del suo presidente, con tutta la compostezza che ne segna il tratto umano e istituzionale; così si stanno esprimendo non solo le opposizioni, che lo richiedono a gran voce nelle piazze e sui media, ma anche i partiti di Governo, segno di un certo sfaldamento all’interno del Governo stesso, tra le sue diverse anime. Certo, non basta invocare il parere del Parlamento sui Dpcm governativi: richiesta raffinata, sul piano istituzionale, simbolica del disagio ma non sufficiente a colmare il gap di democraticità degli atti in via di adozione. Per questo, la via del decreto legge resta la via maestra, attuato sì con decreti dell’Esecutivo, ma strettamente attinenti alle norme contenute nel primo. Ed è quello che dovrebbe accadere per l’introduzione del controllo via cellulare della circolazione del virus. Forse si profila un modo, costituzionalmente corretto, di comporre emergenza e diritti fondamentali.

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