Stamattina presso Castel dell’Ovo, a Napoli, dopo i saluti di rito, toccherà a lui raccontare perché è giunto il momento per il Sud di cambiare passo, di pensare in maniera diversa dal passato. “C’è un’occasione che non va sprecata”. Giovanni Andrea Toselli è da qualche mese a capo della PwC, la prima società di consulenza nel mondo, che in Italia conta circa 6mila professionisti. Ha accettato ben volentieri di partecipare alla prima tavola rotonda prevista nel ricco programma dei “Giorni del Sud”, il meeting, in programma oggi e domani, organizzato da Unione Industriale di Napoli, Confindustria Caserta e Fondazione della Sussidiarietà.
Quindi per il nostro Sud c’è speranza?
Certamente. I traffici mondiali hanno ripreso a considerare centrale il “Mare Nostrum”, nel senso che le rotte che attraversano il Mediterraneo stanno tornando a essere più brevi e convenienti. Per due ragioni fondamentali: l’avviamento di quella che chiamiamo la “Via della seta” e il recente raddoppio del Canale di Suez. Ad esempio, oggi può risultare più vantaggioso per le merci in viaggio dalla Cina raggiungere il Nord America attraverso il Mediterraneo.
E perché ciò dovrebbe favorire il Mezzogiorno d’Italia?
Non vi è nulla di automatico, ovviamente. Ma se riuscissimo in tempi ragionevoli a promuovere lo sviluppo infrastrutturale del Paese, a rafforzare il nostro sistema portuale e a collegarlo con i corridoi che attraversano l’Europa, saremmo oggettivamente al centro delle rotte più importanti.
Quindi porti, interporti, Zone economiche speciali. Ma anche formazione e nuove tecnologie…
Lo sviluppo del Sud è intimamente legato alla qualità del suo sistema formativo e alla capacità di attrarre giovani. Occorre fare politiche in grado di trattenere i suoi, di giovani, ma bisogna essere aperti ad accogliere e formare i giovani provenienti da una vasta area geografica.
È una delle proposte centrali dei “Giorni del Sud”. La seconda giornata è dedicata proprio al tema delle Università e della loro capacità di attrarre e formare i giovani di tutto il Mediterraneo. Quale è la situazione attuale dei rapporti tra l’Italia e i paesi che si affacciano a sud?
Direi che stiamo parlando di un pezzo molto importante degli attuali scambi commerciali del nostro paese. Con questi paesi realizziamo un interscambio di circa 51 miliardi, quasi il 6% del totale italiano. Ma dalle potenzialità enormi. Sono mercati in cui vivono oltre 500 milioni di persone, il 7% della popolazione mondiale.
Ma il Sud è in grado di sostenere la sfida? Dispone di un tessuto produttivo in grado di affrontare questo salto?
Oltre al gap infrastrutturale e logistico, pesa sull’economia meridionale il prevalere di un sistema di piccole e medie aziende che per dimensione, fatturato e forza organizzativa è ancora troppo debole. Ad esempio, la Lombardia rappresenta il 27,4% dell’intero export del paese, a fronte di uno scarso 2,3% della Campania. Stiamo parlando di due tra le regioni più popolose d’Italia. Ma su questo dato pesa anche il fatto che oltre il 50% delle esportazioni riguardano grandi imprese, quelle con oltre 250 addetti, che sono concentrate al Nord.
Quali potrebbero essere, allora, le soluzioni?
Insisto su un punto centrale: oltre alle infrastrutture serve un programma massiccio di nuovi investimenti in formazione e in innovazione. Non è un caso che proprio sul terreno della formazione il Mezzogiorno è diventato un ambiente interessante. Basta pensare ai massicci programmi di formazione a cui hanno dato vita grandi aziende globali come Apple o Google. Al Sud ci sono giovani volenterosi e con la voglia giusta di farsi valere. Occorre partire da lì. La priorità è questa e mi auguro che chi ha responsabilità di governo si impegni al massimo per trasformare i progetti in realtà.