La morale alla base di I Mitchell contro le macchine non è particolarmente elaborata: per salvare una famiglia serve empatia, cercare di capirsi gli uni con gli altri e lasciarsi spazio. Il gusto sta evidentemente nel come gli autori Mike Rianda e Jeff Rowe ci arrivano, ovvero attraverso una scatenata avventura fantascientifica animata da Sony Pictures Animation e distribuita da Netflix.
I Mitchell del titolo sono una famiglia piuttosto scombinata la cui figlia maggiore è un’aspirante regista appassionatissima di tecnologia, al contrario del padre, montanaro dentro. Un giorno, a seguito dell’upgrade tecnologico di un’importante azienda di telecomunicazioni, i sistemi informatici si ribellano e i robot cercano di eliminare il genere umano, ma non hanno fatto i conti con i quattro membri della famiglia.
Le premesse di Terminator e l’andamento de La guerra dei mondi mescolati assieme da un umorismo vicino al demenziale e da un gusto grafico caleidoscopico: la formula di I Mitchell contro le macchine è figlia dei produttori Phil Lord & Christopher Miller, menti dietro alcuni esperimenti fantastici come Spiderman: Into the Spiderverse, ed è un modo perfetto per vestire un tipico film familiare Usa di panni contemporanei.
Se la paura tecnologica è un grimaldello per attrarre i genitori, il film invece non solo trova nell’utilizzo della tecnologia un suo percorso narrativo, ma soprattutto la usa come mezzo per esporre la sua riflessione: capire gli altri è meglio di far loro la morale, essere di supporto è più importante che insegnare a vivere. In questo senso è più un film per i genitori che per i figli, come Alla ricerca di Nemo, che li aiuta a capire una generazione che si esprime attraverso uno schermo, che fuori da ogni passatismo, vive ed esperisce il mondo anche grazie alle possibilità delle applicazioni social e affini. Il film poi è equanime ovviamente, suggerisce che, come un cacciavite, anche YouTube può essere uno strumento utile, e che nessuno dei due sia meglio dell’altro, però non sentire il tipico paternalismo anti-digitale è benefico.
Anche perché la riuscita visiva e cinematografica del film si devono proprio a quella tecnologia, perché ne rende possibile l’animazione sopraffina e perché, soprattutto, ispira lo stile del film, in cui la stratificazione grafica dell’immagine è quella dei social, dei filtri e disegnini di Instagram o del montaggio di TikTok, perché i registi si nutrono del delirio psichedelico delle avanguardie digitali, che fanno con l’immagine audiovisiva ciò che gli street Artist fanno sui muri, con la pittura, e riescono così anche riflettere su un mondo in cui ogni giorno inventiamo immagini a misura dello sguardo altrui.
Trascinante, a tratti molto divertente, dal ritmo incessante e dalla realizzazione eccellente, I Mitchell contro le macchine è una goduria per gli occhi e per il cuore, che sa dire cose molto precise sul presente – non solo tecnologico ma anche sentimentale (“Non nascondere i sentimenti, così non è vita”, dice la sorella al fratellino dopo la prima cotta) – e le dice in un modo vivo e inventivo. È tutto quello che da un cartoon per famiglie, specie su piccolo schermo, possiamo aspettarci.
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