Visto dall’esterno, il mestiere di banchiere centrale sembra un lavoro alquanto noioso: non accade quasi mai nulla e quando accade qualcosa gli strumenti che si possono utilizzare per contrastarlo sono piuttosto semplici e in numero limitato. Per di più in molti casi neppure funzionano.

In linea di principio il banchiere centrale dovrebbe cercare di smussare gli eccessi del ciclo economico attuando una politica monetaria espansiva, dunque abbassando i tassi di riferimento e cercando di accrescere la liquidità, durante le recessioni, e l’esatto contrario quando un’eccessiva crescita economica risveglia il fenomeno dell’inflazione. In ogni caso la sua è una politica della domanda, la quale cerca di stimolare la domanda per beni d’investimento quando essa è scarsa e di rallentarla quando essa è eccessiva. In sostanza è come se il banchiere centrale guidasse un’auto, premendo a seconda delle circostanze sul pedale del freno oppure su quello dell’acceleratore.



Ma cosa accade durante una seria recessione, in cui gli operatori economici sono assolutamente pessimisti sulle prospettive dell’economia e sulla possibilità di ritornare a ottenere profitti? Forse si metteranno a realizzare nuovi investimenti, ad accrescere la loro capacità produttiva, anche se la domanda langue? E lo faranno solo perché possono prendere a prestito a buon mercato per finanziarli grazie alla politica monetaria espansiva della Banca centrale? La risposta è ovviamente negativa. Il banchiere centrale può immettere nel sistema economico tutta la liquidità che vuole, ma non ha strumenti per obbligare gli operatori economici a utilizzarla se non lo desiderano.



Keynes aveva ben presente questo caso, che poi nei manuali di macroeconomia ha preso il nome di “trappola della liquidità”, e lo spiegò efficacemente con la metafora del cavallo all’abbeveratoio. Il cavallo, il quale rappresenta il sistema economico, gli operatori, viene portato all’abbeveratoio e se cerca di bere troppo gli potrà essere impedito tirandolo per le briglie. Ma è impossibile il contrario, non può essere spinto con le briglie per farlo bere di più se non vuole. Questo è il problema della politica monetaria, che tende a essere poco efficace quando usata in senso espansivo nei casi recessivi più gravi.



Però qui si obietterà che invece in senso restrittivo essa può funzionare. Certamente, tirando il cavallo per la briglia lo si può distogliere dal bere. Però a condizione che abbia bevuto abbastanza, a condizione che non lo si lasci disidratato per eccesso di rigore. Ed è proprio questo che io penso che la Bce stia facendo. Siamo infatti proprio sicuri che l’economia stia correndo troppo, che ci si trovi in una fase eccessivamente espansiva del ciclo economico, che via sia un eccesso di investimenti privati da contenere?

In realtà tutti i numeri stanno dicendo esattamente l’opposto. Vediamo allora in primo luogo come è andato il Pil dell’Italia nell’ultimo trimestre, quello primaverile, e poi facciamo altrettanto per l’intera Euroarea.

Come è noto, il Pil reale dell’Italia ha registrato segno negativo, con una riduzione indicata nello 0,3% nelle stime preliminari di fine luglio e accresciuta allo 0,4% nelle stime definitive da poco pubblicate dall’Istat. Si attenua drasticamente anche la crescita rispetto allo stesso trimestre dello scorso anno, ora contenuta nello 0,4%, così come la variazione acquisita del Pil, quella che si verificherebbe in presenza di crescita nulla nella seconda metà dell’anno, ora pari allo 0,7%. Nel trimestre scorso invece la variazione sul trimestre precedente era stata pari a un ottimo +0,5%, mentre la variazione tendenziale rispetto all’anno prima era ancora all’1,8% e la crescita acquisita allo 0,8%. In sostanza nel secondo trimestre sembra esservi stato un netto rovesciamento di tendenze e di prospettive nel quadro economico del nostro Paese. In quali segmenti dell’economia si è manifestato e quali possono esserne state le cause?

Dal lato dell’offerta si sono verificati andamenti congiunturali negativi del valore aggiunto per tutti i principali comparti produttivi, in particolare per l’industria, con un -1,4%, e per l’agricoltura, con un -1,3%, mentre hanno resistito i servizi, diminuiti comunque dello 0,1%. Dal lato della domanda si evidenzia invece come l’intero calo sia dovuto alla domanda interna, diminuita rispetto al primo trimestre nell’insieme delle sue componenti dello 0,7%, mentre è rimasta invariata la domanda estera netta, all’interno della quale tanto l’export quanto l’import si sono contratti in termini reali dello 0,4%. Ma come sono andate le diverse componenti della domanda interna?

Vediamole in dettaglio:

– i consumi privati per fortuna hanno retto, restando invariati rispetto al primo trimestre;

– i consumi delle amministrazioni pubbliche si sono invece contratti dell’1,6%, un valore consistente che andrebbe spiegato in dettaglio dall’Istat, e hanno contribuito per tre decimi di punto al calo congiunturale del Pil;

– infine gli investimenti fissi lordi, i quali si sono contratti dell’1,8% rispetto al primo trimestre e hanno contribuito per quattro decimi di punto al calo congiunturale del Pil.

Quello degli investimenti è il calo più consistente e si è verificato nonostante tutti i progetti in corso di investimenti pubblici realizzati nell’ambito del Pnrr. Ma gli investimenti non sono proprio quella componente della domanda direttamente influenzata dalla dinamica dei tassi d’interesse prodotta dalle scelte di politica monetaria della Banca centrale?

Davvero siamo in recessione perché è la Bce che ce lo chiede? I numeri italiani del Pil sembrerebbero confermare questa interpretazione. In attesa di verificare se anche i numeri europei vanno nella stessa direzione, cosa che faremo in un approfondimento successivo, siamo tuttavia autorizzati a sospettare quanto segue:

1. la Bce con i ripetuti aumenti dei tassi di riferimento sta tirando via il cavallo dall’abbeveratoio;

2. le scelte del cavallo sembrano confermare che abbia meno acqua a disposizione e che quindi ne stia utilizzando di meno (meno soldi attraverso prestiti che finanziano meno investimenti).

Ma a cosa servirebbe esattamente questa recessione? Davvero il cavallo stava bevendo troppo? Anche qui i numeri dicono l’esatto contrario. Poiché il dato italiano sugli investimenti è falsato dai consistenti incentivi alle ristrutturazioni edilizie, conviene guardare direttamente al dato dell’Euro area, che non è ancora disponibile per il secondo semestre ma quello del primo, che commentammo già in una precedente occasione, è di grande interesse. Infatti mentre il Pil dell’Euro area è ora circa due punti e mezzo sopra il suo livello ante Covid, gli investimenti erano invece nel primo trimestre ancora 4,5 punti sotto il livello pre Covid e neppure i consumi privati avevano completamente recuperato il livello ante pandemia.

Dunque non vi è nessun nemico all’orizzonte che il custode europeo della fortezza monetaria possa combattere con lo strumento degli alti tassi che ha a disposizione e l’uso sconsiderato dello strumento non è altro che fuoco amico, i cui proiettili sono destinati a cadere in maniera fragorosa e con effetti dirompenti dentro il recinto delle economie nazionali e sui bilanci degli Stati, in particolare quelli storicamente più problematici.

Che sia un effetto della solitudine del banchiere centrale in questa moderna Fortezza Bastiani che è l’Eurotower di Francoforte?

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