Sono stati divulgati i dati Istat sul mercato del lavoro relativi al mese di aprile. Sono i primi relativi a un mese di completa chiusura del sistema economico nazionale e pertanto possono indicarci cosa ci aspetterà nei prossimi mesi. Rispetto al mese di marzo, che era già parzialmente interessato dalle misure di sospensione delle attività economiche, si accentua il calo dell’occupazione e anche della disoccupazione e risulta in forte aumento il dato degli inattivi.



L’occupazione scende dell’1,2%, pari a 274.000 unità. Il calo coinvolge sia le donne (-1,5%, pari a 143.000 persone) che gli uomini (-1,0%, ossia 131.000 persone). La diminuzione ha coinvolto 205.000 lavoratori dipendenti (-1,1%) e 69.000 indipendenti (-1,3%). Il tasso di occupazione complessivo perde lo 0,7% rispetto al mese precedente e si ferma al 57,9%.



A raccogliere le uscite dall’occupazione non è però il dato relativo alla disoccupazione, ma il rifugio nell’inattività. L’effetto lockdown ha agito sia nell’espulsione dal lavoro, sia nel far ritirare, almeno pro tempore, le persone anche dal mercato del lavoro. Per questo il tasso di disoccupazione scende al 6,3% (-1,7& rispetto a marzo). Addirittura cala di 5,2 punti la disoccupazione giovanile che si ferma al 20,3%.

Dalle persone in cerca di lavoro si ritirano ben 484.000 unità (-23,9%) per quasi due terzi donne (-30,6%) e un terzo maschi (-17,4%). Gli inattivi crescono del 5,4% in un mese con un incremento di 746.000 unità. Il tasso di inattività complessivo avanza di due punti raggiungendo il 38,1%.



La spiegazione di tale comportamento è di facile comprensione. Il lockdown ha provocato l’espulsione dal lavoro di quanti non sono tutelati dal blocco dei licenziamenti introdotto a sostegno della cassa integrazione. Nonostante l’estensione della tutela a lavoratori normalmente non tutelati dalla Cig, una parte ancora consistente non ha protezione contro la disoccupazione. Il dato degli indipendenti riguarda poi partite Iva e altri contratti di collaborazione che non godevano di tutela del posto di lavoro. Per tutti questi lavoratori non poteva accadere di perdere il posto di lavoro in periodo peggiore. “Lasciati a casa” quando lavorare si poteva solo da casa rende impossibile anche uscire per cercare una nuova occupazione. Da qui il flusso diretto da occupati a inattivi e ciò assieme a una parte dei disoccupati che, anch’essi impossibilitati a muoversi per cercare lavoro, si ritirano dal mercato del lavoro.

È una situazione per cui calano contemporaneamente sia la domanda che l’offerta di lavoro. Una crisi che solo un fattore esogeno alle regole dell’economia può determinare e che richiede attenzioni e misure molto mirate perché non diventi fra qualche mese un grave problema sociale.

In primo luogo, i dati dell’occupazione di questo primo periodo di blocco ci dicono che gli indicatori classici del mercato del lavoro sono da interpretare alla luce di ragioni non solo economiche. Alla sospensione generalizzata delle attività produttive si è affiancata una iper attività di alcuni settori che, per assicurare beni e servizi indispensabili, hanno dovuto aumentare la propria capacità produttiva. L’asimmetria che ha interessato i settori produttivi ha un riflesso immediato anche sui mercati del lavoro settoriali.

Come emerge dai dati di aprile, perde subito il lavoro chi non ha tutele sia perché non coperto da quelle nuove sui licenziamenti sia perché già escluso da quelle del lavoro dipendente. L’impossibilità di concorrere alla ricerca di nuova occupazione (a maggio parzialmente offerta dalla domanda di occupazione agricola per l’avvio della stagione dei raccolti) porta a una contrazione apparente dei disoccupati e a una crescita degli inattivi. Tale situazione si può presumere che caratterizzerà i prossimi mesi estivi sia per la pausa feriale, sia per la riorganizzazione dei mercati e della produzione, oltre che per le valutazioni rispetto alla possibile ripresa più o meno grave della forma epidemica del virus.

Questo ci porta quindi a prevedere che in autunno avremo le imprese (dall’industria alla ristorazione) che potranno valutare eventuali cali di occupazione da calo della domanda e da riorganizzazioni. A questi nuovi disoccupati sono da sommare tutti coloro che in questi mesi si sono ritirati dall’essere attivi, ma solo per attendere la ripresa delle attività economiche. È quindi facile prevedere che registreremo una perdita di oltre un milione di occupati e avremo una crescita della disoccupazione per un numero superiore di persone che chiederanno di uscire dall’inattività.

La Cig, anche estesa, e il reddito di cittadinanza con i suoi navigator, non possono certo essere gli strumenti che permetteranno di gestire la richiesta di lavoro che arriverà da un esercito di disoccupati. È adesso il tempo di pensare a nuovi ammortizzatori sociali e un sistema di politiche attive del lavoro che assicurino tutele estese a tutti i lavoratori e permettano di dare garanzia di non lasciare indietro nessuno, ma anche di promuovere reali occasioni di lavoro per tutti.

Se è prioritario investire per recuperare la produttività persa fra il 2008 e oggi non possiamo nemmeno rinviare una riforma delle politiche attive del lavoro che permetta a imprese e lavoratori di contribuire al meglio alla rinascita produttiva del Paese.

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