Istat ha ripreso a pubblicare i dati trimestrali delle forze lavoro a livello regionale oltre che nazionale. I dati mancavano da più di un anno per la revisione della rilevazione che ha portato a nuove regole di calcolo dei dati dell’indagine.

Possiamo così vedere a che punto eravamo, in Italia e nelle regioni, a fine nel quarto trimestre del 2021 rispetto al quarto trimestre del 2019, prima della pandemia. A causa della guerra, il quarto trimestre del 2021 sarà molto probabilmente anche il punto del tempo che useremo per valutare gli impatti dell’invasione russa dell’Ucraina.



Nel Paese complessivamente fra il quarto trimestre 2021 e il quarto trimestre 2019 Istat segnala un calo della popolazione di riferimento di circa 542 mila persone. Il calo si è ripercosso soprattutto gli occupati (-205 mila) e i disoccupati (-248 mila). Se guardiamo le non forze di lavoro (quelli che non lavorano e non cercano), notiamo che sono calati di circa 89 mila unità. Si tratta dell’effetto dell’invecchiamento della popolazione che sta lentamente assottigliando il gruppo di persone in età da lavoro.



Per effetto della caduta della popolazione più veloce della caduta dell’occupazione, il mancato recupero dall’inizio della pandemia a oggi non si vede sui tassi: il tasso di occupazione resta più o meno dove era due anni prima, al 59,5% (uno dei più bassi d’Europa), mentre il tasso di disoccupazione scende al 9,1%.

Le donne, dopo due anni di pandemia, sono cresciute di 15.000 unità tra le occupate e ci sono 196 mila disoccupate in meno; si è ridotto così il divario fra i tassi di disoccupazione maschile e femminile, anche se il tasso di occupazione è ancora del 16% più basso fra le donne rispetto agli uomini.



Dal punto di vista geografico, il Nord del pPese ha perso mezzo punto di tasso di occupazione, circa 135 mila occupati. Fra le grandi regioni solo il Veneto ha quasi recuperato il numero di occupati che aveva a fine 2019, mentre Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna fanno registrare un maggiore ritardo nel recupero di occupati e tassi di occupazione.

Al Centro la situazione occupazionale è prossima al pieno recupero. In tutta l’area mancano 5 mila occupati per tornare ai livelli di due anni fa, il tasso di occupazione è in leggera crescita e il tasso di disoccupazione in leggero calo.

Nel Mezzogiorno si registra il calo demografico più consistente, 323 mila persone, circa l’1,6% della popolazione a fine 2021 persa in due anni, mentre il dato degli occupati è calato del 1,1% circa. Il tasso di occupazione, in conseguenza del fatto che la popolazione cala più velocemente degli occupati, è cresciuto di quasi un punto. Il tasso di disoccupazione è calato di quasi due punti, dal 17,5% al 15,6%: ottimi risultati questi ultimi se non fossero avvenuti in un periodo di calo demografico accelerato. In Sicilia il tasso di occupazione 15-64 anni è salito di 3 punti percentuali, e ha raggiunto il 43%, che resta un tasso di partecipazione molto basso, di circa 25 punti sotto l’Emilia-Romagna, giusto per prendere una regione di dimensioni simili al nord-est del Paese. 

Lo squilibrio del mercato del lavoro nelle regioni del Mezzogiorno lo si può leggere anche in un altro numero indice: il rapporto tra over 64 anni che non lavorano e il totale degli occupati. In Sicilia il rapporto è al 76%, vale a dire che ogni 100 occupati ci sono 76 over 64 anni che non lavorano. In Calabria il rapporto è al 74%, in Puglia al 71% e in Campania al 68%. Al Nord i rapporti sono più bassi, in Emilia-Romagna al 50,6%, in Veneto al 49,6% in Lombardia al 48,4%.

La guerra in Ucraina trova il mercato del lavoro italiano a un passo dal recupero dei livelli pre-pandemia, ma con un aggravio dell’invecchiamento demografico che pesa sempre di più. La nuova stagione delle politiche attive del lavoro, con il programma GOL, avrebbe bisogno di un impegno molto forte nelle regioni del Centro e nel Sud del Paese dove i tassi di partecipazione sono, com’è noto da tempo, troppo bassi. Forse usare le risorse per cercare di spingere al lavoro i percettori di Reddito di cittadinanza potrebbe non essere la cosa più urgente da fare: suona un poco come rimediare agli errori di una politica mal progettata, il Reddito di cittadinanza, con l’uso di un’altra politica ancora da progettare. 

Un’attenzione diversa dovrebbe essere data a rafforzare il tessuto della formazione, in particolare di quella professionale collegata all’artigianato e alla piccola impresa, che genera imprenditoria giovanile e innova l’imprenditoria locale. Fermare la fuga verso il Nord e verso l’estero dei giovani potrebbe essere un investimento a maggiore rendimento complessivo. 

Se a livello locale dovessero mancare gli strumenti e l’esperienza, potrebbe essere il livello nazionale a fornire l’assistenza necessaria, non fatta di “navigator” o di altre forme di precariato pubblico, ma di strumenti, di sistemi informativi, di statistica e di analisi dei dati dettagliata e di qualità, di informazioni precise sulle carriere delle persone e su quanti sussidi percepiscono e fino a quando, di standard di costo chiari, di metodi formativi ed educativi e di persone esperte, anche usando le esperienze migliori delle regioni del Nord del Paese. 

Non è più il momento delle lotte per le competenze tra livelli diversi di Governo, ma il momento della cooperazione, dove le competenze, quelle professionali di chi si occupa di aiutare le persone che cercano lavoro, devono essere messe là dove servono: al centro dell’azione. 

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