Nel dibattito preliminare sulla manovra di bilancio ha avuto un ampio spazio l’obiettivo, posto dal governo, di contrastare anche con mezzi nuovi (il potenziamento dell’uso della moneta elettronica) l’evasione fiscale. Inizialmente l’esecutivo aveva “postato” in oltre 7 miliardi il recupero conseguente. Poi – anche su suggerimento di Bruxelles – ha ridefinito un obiettivo più credibile (ovvero meno incredibile) pari a 3 miliardi di maggiori entrate (che rimane comunque un esito ambizioso). In Italia – è noto – si procede sulla base delle stime; e all’evasione (incluse anche l’elusione e l’erosione) sono attribuite più di 100 miliardi di sottrazione di tributi dovuti all’Erario. Il che provoca anatemi e crociate, con maggiore o minore intensità secondo i periodi, soprattutto durante la sessione di bilancio.



Sappiamo che la questione fiscale è una componente essenziale del vivere civile: gli Usa sorsero come Stato indipendente in nome del principio del no taxation whitout representation. Ma il problema dell’ordinamento fiscale (e dei servizi che vengono dati in cambio) è onnipresente nelle scelte dei decisori politici di ogni tempo perché costituisce il criterio basilare per distribuire – più o meno equamente e su quali soggetti o beni – le risorse prodotte da una società in una determinata fase della sua storia. In Italia, il gioco a rimpiattino condotto dai partiti ha indotto a promettere riduzioni della pressione fiscale che, alla fine non si effettuano, perché nessuno è in grado di aumentare la spesa e realizzare nel contempo un robusto taglio delle entrate, siano esse dirette o indirette, sul reddito o il consumo, fiscali o parafiscali.



L’evasione contributiva è sovente la sorella siamese dell’evasione tout court: chi non paga le tasse si guarda bene dal versare la contribuzione previdenziale dovuta per sé o per altri (ad esempio, i propri dipendenti). Peraltro, mentre l’evasione fiscale, in generale, sottrae risorse alla società nel suo insieme, quella contributiva danneggia anche gli interessati perché lede quel rapporto sinallagmatico che consente al lavoratore/cittadino di trarre beneficio dalle tutele previste in caso di bisogno.

Il Rapporto sociale sul 2018, curato dal Civ dell’Inps e pubblicato in questi giorni, rende noti gli esiti della lotta all’evasione, da parte del Inl, il nuovo Ispettorato nazionale del lavoro, all’interno del quale collaborano tutte le agenzie competenti (Istat, Inps, Inail, Ispettorato del lavoro, Mef, Agenzia delle entrate, ecc.). L’Ispettorato nazionale del lavoro è divenuto operativo a partire da gennaio 2017 e, nel mese successivo, ha sottoscritto con l’Inps il protocollo di intesa per lo svolgimento della vigilanza ispettiva, che deve assumere i caratteri di una specifica intelligence con l’utilizzo di metodologie di indagine telematiche e piattaforme informatiche finalizzate allo scambio dei dati. Tuttavia, nel primo biennio di attività dell’Inl, sono state registrate numerose difficoltà nella condivisione e integrazione delle banche dati, con consistente flessione dell’attività ispettiva, tanto da aver richiesto proporre al legislatore una rivalutazione dell’Inl e del blocco delle assunzioni degli ispettori Inps (in sostanza, l’Istituto ritiene che le cose andassero meglio prima, quando agiva in autonomia).



Le ispezioni sono scese a 17.410 nel 2018, rispetto a 19.991 nel 2017 e alle 28.818 del 2016. L’evasione contributiva accertata nel 2018 è stata pari a 1.117 milioni di euro, rispetto agli 894 milioni di euro del 2017 e ai 1.018 milioni di euro del 2016. Si è quindi registrato un aumento del 24,9%, pari a 223 milioni di euro rispetto al 2017; comparando i dati del 2018 con quelli del 2016 si registra un incremento del 9,7% pari a 99 milioni di euro. La situazione dell’evasione contributiva accertata nel 2018 è ritornata sostanzialmente ai livelli precedenti l’istituzione dell’Inl (attraverso un decreto attuativo del Jobs Act). In tale contesto, sostiene il Civ Inps, occorre valutare la modalità di incremento della capacità di vigilanza e del numero di addetti a tale attività.

Gli ambiti di intervento, previsti nel Piano 2018 dell’Inps, in considerazione sia delle criticità storiche che di quelle emergenti, sono stati orientati verso i settori dell’edilizia (per le retribuzioni virtuali e i contratti part-time), dell’agricoltura (per il caporalato e il mancato rispetto dei termini contrattuali) e delle cooperative (per l’applicazione degli obblighi di legge e dei contratti). Il piano ha affrontato altresì il tema della fruizione indebita di agevolazioni contributive e dei rapporti di lavoro fittizi. Nel 2018 le ispezioni hanno rilevato 5.171 lavoratori in nero, con una riduzione di 157 rispetto al 2017 e di 8.880 rispetto al 2016. I lavoratori irregolari rilevati sono stati 37.552 nel 2018 con una riduzione di 73.267 rispetto al 2017 e un incremento di 12.231 rispetto al 2016. Secondo la Direzione Generale – ricorda il Rapporto -, lo scostamento del numero dei lavoratori irregolari nel 2018 è particolarmente elevato a seguito della chiusura nel 2017 di alcuni accertamenti ispettivi eccezionalmente rilevanti dal punto di vista del numero dei lavoratori coinvolti.

La riduzione degli ispettori Inps è così rappresentata: 1.232 nel 2016, 1.193 nel 2017 e 1.153 nel 2018 con una riduzione del 3,4% rispetto all’anno precedente. Il contrasto all’evasione/elusione contributiva, evidenzia forti criticità, secondo il Civ. L’attività di vigilanza documentale, in un quadro di sinergia con l’attività ispettiva di vigilanza e attraverso controlli qualificati, permette di conseguire una maggiore equità, nonché la repressione degli illeciti attraverso controlli preventivi, anche di natura predittiva, con l’individuazione dei fenomeni evasivi e fraudolenti. I controlli di vigilanza documentale hanno accertato evasioni contributive per 347 milioni di euro, conseguenti a 262.221 verifiche documentali, che hanno evidenziato irregolarità nel 91,0% dei casi. Inoltre, sono stati individuati almeno 14.500 rapporti di lavoro “fittizi”, evitando così l’erogazione di indebite prestazioni previdenziali per 109 milioni di euro e, relativamente alle imprese, recuperando o non riconoscendo agevolazioni o conguagli impropri per 19 milioni di euro.

Il Documento unico di regolarità contributiva (Durc) certifica il regolare versamento di contributi e premi dovuti all’Inps, all’Inail e alle Casse edili. A decorrere dal 1° luglio 2015 tale certificazione è rilasciata con modalità esclusivamente telematica e con validità di 120 giorni. Quanto al Durc (documento che riconosce la regolarità contributiva senza il quale non è concesso alle imprese l’accesso agli appalti), nel 2018 risultano pervenute e lavorate dall’Inps 3.189.533 richieste; il tasso di regolarità è risultato del 81,8%, mentre la mancata certificazione ha riguardato 523.246 richieste.

È questo, soprattutto, il segno di un’efficace individuazione delle aree sui cui effettuare gli accertamenti. La situazione del 2018, a fronte dell’incremento del 18,1% delle richieste pervenute, registra, rispetto al 2017, un decremento del tasso di regolarità che nell’anno precedente era pari al 84,2%. Il Durc è quindi – precisa il Civ – un’utile modalità di incentivazione alla regolarità nel versamento dei contributi Inps e dei premi Inail, ma registra anche le difficoltà della situazione economico-finanziaria delle imprese.