Turismo contro all star (economiche): 10 a 0, cappotto. Non è una partita, è quanto sta succedendo nella frammentata ripresa post-pandemia.

Fronte turismo. Secondo l’ufficio studi Enit le prenotazioni verso l’Italia continuano la grande risalita in confronto allo scorso anno, anche rispetto a quelle registrate verso altri Paesi competitor. Si stima un +324% (sul 2021) in giugno e +222% (sempre sul 2021) in luglio. Il traffico aereo europeo è cresciuto costantemente da metà marzo a inizio maggio: le prenotazioni aeree mostrano anche una crescente domanda di viaggi intraeuropei e di voli dagli Usa all’Europa, complice l’allentamento delle restrizioni di viaggio (36 Paesi hanno revocato tutte le restrizioni di viaggio relative al Covid a partire dal 13 maggio 2022).



Dunque, nonostante le incertezze sull’epidemia (che i nuovi dati confermano presente, anche se più sottotraccia rispetto al passato), nonostante le purtroppo certe conseguenze della guerra in Ucraina (crisi del gas, del petrolio, con lievitazione dei costi e dell’inflazione), e le altrettanto più che certe difficili situazioni climatiche (l’anticiclone sahariano, la siccità), il turismo si conferma ancora una volta l’asset più everlasting della nostra economia, quello che per primo cade ma per primo si rialza, rimbalzando anche più in alto di prima, spinto da una generalizzata crisi d’astinenza da viaggi e vacanze durata due anni. Certo, non si riprende in toto: tanti da quei tonfi non ne sono più usciti, penalizzati dalle loro architetture finanziarie poco adeguate a sopportare periodi così lunghi di crisi, fondamentalmente lasciati soli a spegnere le luci e condannati a una progressiva discesa che non ha consentito di riaccendere i motori. Pezzi persi per strada, certi raccolti da investitori, anche stranieri, certi altri definitivamente perduti. Per gli altri, però, il restart è tumultuoso.



Fronte all star. Vediamo la manifattura, il comparto industriale più speculare per il nostro Paese. Le conseguenze della crisi delle materie prime e della guerra in Ucraina stanno mettendo a rischio la ripresa. Banca d’Italia cita uno scenario diverso dalle speranze di inizio anno, quando si stimava una crescita del 4% del Pil: adesso le stime sono molto più conservative e possono giungere fino ad annullare del tutto la ripresa. Nella regione-traino, la Lombardia, Banca d’Italia rileva che due terzi delle aziende industriali si attendono riduzioni dell’attività nel 2022 a causa del conflitto. Secondo le imprese, tra le determinanti principali vi è l’incremento dei costi energetici (per il 40% delle imprese intervistate) e il calo della domanda di beni, sia diretta (28%), sia indiretta (13%).



Secondo le imprese, la riduzione delle vendite nel 2022 sarà pari al -1,4%. Per far fronte al peggioramento congiunturale previsto, l’86% delle aziende prefigura un aumento dei listini di vendita dei beni prodotti, il 74% una riduzione dei margini di profitto delle imprese e il 54% sta valutando di rimodulare la scelta dei fornitori di input produttivi e di aumentare la diversificazione delle forniture. Secondo Confindustria, “l’andamento del Pil italiano nel secondo trimestre 2022 è molto incerto, sintesi di dinamiche contrastanti: nel complesso, appare molto debole. Prosegue, infatti, la guerra in Ucraina e con essa i rincari delle commodity e la scarsità di materiali, con cui fanno i conti le imprese”. E stando alle previsioni economiche di primavera della Commissione europea, l’aspettativa di crescita del Pil italiano per il 2022 sarà del +2,4%, in diminuzione rispetto al +4,3% delle previsioni dello scorso autunno e del +4,1% stimato in inverno.

Allora, nonostante ogni comparto produttivo si professi “vero motore della ripresa”, sembra abbastanza evidente che se c’è un motore che davvero s’è rimesso a girare a pieni regimi è il turismo. “Dopo un eccellente 2021 e un primo trimestre del 2022 positivo contro ogni previsione, anche il trimestre che sta per chiudersi supera le attese con una crescita stimata attorno al mezzo punto percentuale in termini congiunturali. Il 3% di variazione del Pil nell’anno in corso diventa un obiettivo raggiungibile, sebbene non scontato”. Lo sostiene l’ufficio studi di Confcommercio. E Federalberghi ammette che si sta registrando “una ripresa inaspettata del turismo, o meglio è vero che la si stava aspettando, ma non con numeri come questi”. Eccoli, i numeri: +14% delle presenze italiane e +46% di quelle straniere. Ma in ripresa non sono solo le presenze: le spese dei turisti (secondo i dati Nexi) lo scorso maggio sono cresciute complessivamente del 13,7% sul maggio 2019, nello specifico del +25,6% per gli italiani e del 9% per gli stranieri. Secondo il World Travel & Tourism Council, il contributo apportato dall’economia dei viaggi e del turismo al Pil italiano è pari al 13,1%. Ma oggi, dopo le revisioni sulle stime della produzione industriale e sui consumi, il valore della filiera turistica al contrario sta salendo, e quei 13,1 punti sono verosimilmente destinati a lievitare, specie in considerazione del rallentamento di altri comparti produttivi del Pil. 

“Il turismo volano dell’economia nazionale lo è davvero, con un minimo di organizzazione – ha detto recentemente il ministro al Turismo Massimo Garavaglia – possiamo passare dal rappresentare il 13% del Pil al 20%. È un obiettivo ambizioso ma raggiungibile”. Nella speranza che, una volta significato il 20% del Pil nazionale, l’industria del turismo riesca finalmente a incassare almeno un corrispettivo quinto dell’attenzione di Governi e amministrazioni, da sempre abituate più a sfruttare che agevolare il settore (nei sostegni, nella formazione, nella creazione di modelli, nelle sinergie pubblico-privato). Un comparto che, in un Paese come l’Italia, potrebbe assumere la dignità da fiore all’occhiello, da vera eccellenza. 

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