In Italia il 12,5% dei minori di 18 anni si trova in povertà assoluta. Significa che oltre 1,2 milioni di giovani vive in una famiglia che non può permettersi le spese minime per condurre uno stile di vita accettabile. Di questi, mezzo milione abita nel Mezzogiorno. Un disagio economico che spesso si traduce in divario educativo.
Contrastare le povertà educative significa pertanto riconoscere il diritto dei bambini e delle bambine ad apprendere, sperimentare, sviluppare competenze, talenti e aspirazioni e avere accesso a un’offerta educativa di qualità offrendo partecipazione ed espressione culturale e dunque ci vogliono un lavoro sistematico e sistemico, metodi e competenze per alimentare politiche per i minori.
Una bambina o un bambino che ha difficoltà nello studio e non viene seguito adeguatamente, non ha mai fatto sport o visto un film al cinema, non ha a disposizione in casa libri o giochi adatti alla sua età, oppure che semplicemente nel contesto familiare non ci sia spazio né tempo per dare loro la giusta attenzione a cui avrebbero diritto. È una immagine di certo semplificata del concetto di povertà educativa, ma che può aiutare anche i non addetti ai lavori a comprendere l’impatto che questo fenomeno ha sulla società.
La povertà educativa è un fenomeno complesso, di deprivazione educativa e culturale a tutto tondo: un bambino ne è colpito quando il suo diritto ad apprendere, formarsi, sviluppare capacità e competenze, coltivare le proprie aspirazioni e talenti è privato o compromesso. Non si tratta quindi di una lesione del solo diritto allo studio, ma della mancanza di opportunità educative a tutto campo: da quelle connesse con la fruizione culturale al diritto al gioco e alle attività sportive.
La povertà educativa riguarda infatti diverse dimensioni (opportunità culturali, scolastiche, relazioni sociali, attività formative) che devono essere tenute in relazione tra loro. Come detto, in Italia la percentuale dei minori di 18 anni in povertà assoluta è altissima.Vi è una Italia dei piccolissimi, di quei bambini che vengono al mondo in un Paese fragile, in cui l’ascensore sociale sta precipitando velocemente. È in questo contesto che i primi mille giorni di vita si trasformano da essere una grande opportunità per far fiorire interessi e capacità in un percorso a ostacoli, che lascia indietro e penalizza quelli che nascono nei contesti più fragili.
In Italia, le famiglie in povertà assoluta in cui sono presenti minori sono quasi748mila. Famiglie che negli ultimi anni hanno dovuto fare i conti anche con l’aumento dei prezzi di alcuni beni e servizi essenziali per la prima infanzia. Dal 2023, la povertà alimentare in Italia è tornata a crescere. Lo confermano i dati preliminari pubblicati dall’Istat sulle condizioni di vita e reddito delle famiglie. Si interrompe così una tendenza al progressivo miglioramento, che nemmeno la pandemia era riuscita a invertire, grazie soprattutto alle misure straordinarie adottate per fronteggiare l’emergenza Covid-19.
La povertà alimentare, infatti, è un fenomeno multidimensionale che impone di considerare molteplici fattori, alcuni dei quali difficili da tradurre in variabili rilevate sul campo.
Per stimare la diffusione della povertà alimentare, in assenza di altri strumenti, risultano preziosi i due indicatori che fanno parte dell’Indice di deprivazione materiale e sociale utilizzato nell’indagine EU-SILC: l’impossibilità, per ragioni economiche, di consumare un pasto completo almeno ogni due giorni e l’impossibilità di incontrarsi con amici o parenti almeno una volta al mese per condividere un pasto.
Si è stimato che il numero di individui che, per motivi economici, non hanno accesso a un cibo adeguato e/o non partecipano a eventi sociali legati alla condivisione del cibo ha raggiunto il 10,5%, coinvolgendo circa 5,3 milioni di persone. Di queste, 3,8 milioni (il 7,5% della popolazione di almeno 16 anni). In Italia manca una politica strutturata ed efficace per affrontare la povertà alimentare. Per colmare questa lacuna, servirebbero una visione chiara del problema, una strategia a medio-lungo termine e un insieme di azioni coordinate.
Questi interventi dovrebbero integrarsi con altre politiche di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale. Tuttavia, tali elementi non emergono in modo coerente dagli attuali programmi nazionali e locali, che si concentrano principalmente sui bisogni alimentari delle persone e delle famiglie in condizioni di vulnerabilità economica e sociale.
A oggi, l’approccio prevalente per affrontare la povertà alimentare è “di filiera”. Questo significa che l’attenzione si concentra sulla distribuzione di cibo attraverso canali specifici: acquisti governativi, eccedenze alimentari e donazioni da parte di privati e imprese. E dunque rimane un problema grave al quale dare risposte strutturali e non emergenziali.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.