La crisi del Mar Rosso sta ritardando la ripresa del commercio internazionale, dopo la pesante flessione registrata nel 2023. Il volume degli scambi commerciali in transito per Canale di Suez da fine novembre 2023, mese d’inizio degli attacchi degli Houthi a navi occidentali nel Mar Rosso, si è progressivamente ridotto e a febbraio 2024 risulta dimezzato (-56,1%). In parallelo, sempre tra novembre 2023 e febbraio 2024, il volume degli scambi commerciali in transito per il Capo di Buona Speranza è aumentato del 75,1%.



L’allungamento delle rotte commerciali determina un forte incremento dei costi del trasporto navale che si trasmette ai prezzi dei beni importati. Queste turbolenze possono generare un impatto fino a dieci punti sui prezzi dei beni importati e di 0,3 punti percentuali sull’inflazione nel periodo 2024-25. Le modifiche delle rotte e la disintermediazione dei porti italiani espongono a rischi 13 mila imprese del sistema del trasporto e logistica che operano nei principali porti per movimentazione di merci via Mar Rosso.



Si intensifica il calo del commercio estero con i Paesi extra Ue: a gennaio 2024, le stime preliminari dell’Istat indicano un’accentuata riduzione congiunturale dell’8,7% delle importazioni e del 4,5% delle esportazioni. A gennaio 2024 l’export extra Ue scende dell’1,2% rispetto un anno prima, con una maggiore accentuazione per alcuni mercati prevalentemente raggiunti via nave attraverso il Mar Rosso quali Cina (-46,2%) e Oceania (-38,0%), mentre tiene il made in Italy verso l’India (+0,3%) e sale quello verso il Giappone (+19,9%).

Sul calo dell’export pesa la bassa domanda dei giganti manifatturieri addormentati di Europa e Asia: nel 2023 le vendite del made in Italy in Germania scendono del 3,6% e in Cina – al netto del farmaceutico, che presenta un valore outiler di +192,1% – scendono dello 0,9%.



La produzione manifatturiera nel 2023 cede del 2,2% su base annua, un calo più marcato dell’1,6% della media Ue. Dopo il recupero delle attese degli ordini delle imprese manifatturiere nel trimestre novembre 2023-gennaio 2024, il saldo scende bruscamente a febbraio.

Lo scorso 7 marzo la Bce ha mantenuto invariati i tassi di interesse, mentre l’inflazione nell’Eurozona a febbraio scende al 2,6%. Nelle ultime proiezioni della Bce, l’inflazione è stata rivista al ribasso e si colloca al 2,3% nella media del 2024. Le autorità monetarie europee decideranno sulla base dei dati “per determinare livello e durata adeguati della restrizione“.

I tassi di interesse pagati dalle imprese segnano una flessione dai picchi di fine 2023 ma rimangono alti, pesando sulla domanda di prestiti. A gennaio 2024 il costo del credito bancario per le imprese è pari al 5,54%, 32 punti base in più rispetto al 5,22% dell’Eurozona e superiore di 393 punti base rispetto a giugno 2022, mese precedente all’avvio della stretta monetaria. A fronte del caro-tassi cede la domanda di credito: a gennaio 2024 i prestiti delle imprese scendono del 4,0% su base annua, accentuando il calo del 3,6% di dicembre 2023.

La bolla dei costi energetici per imprese e famiglie si sgonfia lentamente. Nel 2023 il prezzo all’ingrosso dell’energia elettrica è ritornato sul livello medio del 2021 e i prezzi all’importazione di petrolio greggio sono del 10,1% sopra il livello di due anni prima. In parallelo i prezzi al consumo di elettricità e gas rimangono del 76,0% superiori ai livelli del 2021, un divario che scende al 42,4% nell’Eurozona.

Vi sono good news per investimenti e lavoro. Nel quarto trimestre del 2023, l’aumento degli investimenti contribuisce con mezzo punto alla crescita del Pil dell’economia italiana. Nonostante la stretta monetaria in corso e il calo dei prestiti, come anticipato dal rapporto “Meccanica 2024” presentato da Confartigianato nei giorni scorsi, nel 2023 gli investimenti in macchinari e impianti in Italia salgono del 6,4% su base annua a fronte del +3,9% della media Ue 27, facendo meglio di Francia (+4,2%) e Germania (+3,0%), mentre la Spagna è in territorio negativo (-1,8%).

Nonostante il debole ciclo economico, tiene la domanda di lavoro. A gennaio 2024 gli occupati scendono dello 0,1% rispetto il mese precedente mentre salgono dell’1,6% su base annua, pari a 362mila lavoratori in più. A far da traino è il +2,4% dei dipendenti a tempo indeterminato, in aumento di 373mila unità, mentre gli occupati dipendenti a tempo determinato scendono dell’1,1%. Sono in positivo anche gli occupati indipendenti, che crescono dello +0,4%, pari a 22mila lavoratori in più.

Nei due anni di guerra in Ucraina, nonostante il sovrapporsi di una crescente incertezza, di un violento shock energetico e della perdita del potere di acquisto delle famiglie, gli occupati salgono di 775mila unità – più di mille nuovi occupati al giorno – con un aumento di 868mila dipendenti permanenti.

Sul fronte delle politiche economiche, mentre si attende una riduzione dei tassi da parte della Bce, il ritorno in vigore delle regole di bilancio europee espone l’Italia, insieme con la Francia, a una procedura di infrazione per deficit eccessivo. Nella revisione pubblicata nei giorni scorsi, l’Istat calcola per il 2023 un deficit del 7,2% del Pil, in discesa rispetto all’8,6% nel 2022, ma di quasi due punti superiore al 5,3% indicato nel Documento programmatico di bilancio inviato a ottobre alla Commissione europea. In un contesto di deboli politiche economiche, diventa vitale il sostegno del Piano nazionale di ripresa e resilienza, ma preoccupa lo switch temporale della spesa del Pnrr. Nel Def di aprile 2021 si indicava che entro il 2023 dovevano essere spesi 85,9 miliardi di euro (il 44,9% del totale delle risorse del Pnrr), dopo un anno, nel Def 2022, la spesa prevista scende a 77,0 miliardi di euro (40,2% del totale), a settembre 2022, nella Nota di aggiornamento al Def 2022, scende a 61,4 miliardi (32,1%). Nella terza relazione sul Piano pubblicata lo scorso maggio si indicavano 118 misure con difficoltà di realizzazione. Per 59 misure, che complessivamente valgono 68,3 miliardi di spesa, pari a un terzo (35,7%) del Piano, vi è almeno una criticità normativa e nella gestione della Pubblica amministrazione. Nel consuntivo contenuto nella quarta relazione sul Piano approvata dal Governo a fine febbraio 2024, la spesa sostenuta a tutto il 2023 è di 45,7 miliardi di euro, il 23,8% dell’intero Piano, 40,1 miliardi in meno di quanto previsto tre anni fa. Nella relazione della Corte dei conti sullo stato di attuazione del Pnrr pubblicata l’11 marzo si indica che “è proprio la capacità amministrativa a evidenziarsi come elemento critico del Piano e della sua esecuzione, nell’ottica ulteriore di preservare la qualità degli interventi”.

I ritardi pesano sulla crescita: nell’ipotesi di una completa e tempestiva realizzazione degli investimenti del Piano, infatti, è attesa per quest’anno una maggiore crescita di 7 decimi di punto di Pil, decisiva per evitare una recessione.

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