Per prevedere quando l’Italia uscirà dai problemi sanitari indotti dal coronavirus dobbiamo esaminare le prospettive dei due principali fenomeni correnti, ossia della diffusione dell’epidemia e della tempestività della vaccinazione.

Per quanto riguarda l’epidemia, stiamo per uscire dalla terza ondata infettiva. Come si vede dalla Figura 1, l’ondata ha da settimane superato il colmo del contagio e sta lentamente perdendo di forza. Nella settimana tra il 16 e il 22 aprile sono stati accertati 13.541 contagi per giorno, con un calo del 33% rispetto a due settimane prima. Anche la mortalità è in calo rispetto alle due settimane precedenti (-21%; Figura 2); tuttavia, siccome la morte si verifica in media circa due settimane dopo l’infezione, è prevedibile un calo più sostanzioso della mortalità nelle prossime settimane.



Figura 1. Nuovi casi di contagio da coronavirus registrati in Italia dall’inizio della pandemia (Fonte: CSSE della John Hopkins University)

Figura 2. Nuovi casi di morte per Covid-19 registrati in Italia dall’inizio della pandemia (Fonte: CSSE della John Hopkins University)

Anche la Francia e la Spagna mostrano di essere quasi fuori dalla terza ondata, mentre la Germania ne è ancora dentro. Tutti i paesi citati mostrano di avere una situazione sanitaria migliore della nostra, anche se i dati francesi sembrerebbero peggiori. Infatti la Francia, sin dall’inizio della pandemia, fa molti più tamponi di noi (e quindi trova molti più infetti rispetto a noi) e ha molti meno morti di noi per ogni caso di infezione scoperto. Pure la Germania ha un sistema di tracciamento degli infetti migliore del nostro. A parte i sistemi di tracciamento, le statistiche dei più popolosi paesi europei mostrano una tendenziale omogeneità.



Il Regno Unito, invece, è in anticipo su tutti i paesi europei nella lotta al virus. Il vantaggio l’ha conseguito con una campagna vaccinale di rara efficacia, che ha ridotto gli effetti dell’epidemia fin quasi ad annullarli. Al 22 aprile 2021, la sanità del Regno Unito aveva somministrato al 49% dei britannici almeno una dose di vaccino. Alla stessa data nel Regno Unito si contavano poco più di 2.500 contagi e 23 morti su base giornaliera. Pertanto, nel Regno Unito:

• la vaccinazione ha ridotto a livelli minimi l’infezione, ma non l’ha estinta. È evidente che non basta il 49% di popolazione vaccinata (tra l’altro, neppure il 62% raggiunto da Israele) per essere completamente al sicuro. Si devono ancora vaccinare molti altri milioni di britannici prima che si estingua l’infezione;



• la prima parte della campagna di somministrazione dei vaccini è stata organizzata in modo esemplare: sono riusciti a somministrare almeno una dose di vaccino a un 10% della popolazione ogni 17 giorni, vale a dire che sono passati dal 9 al 39% di popolazione vaccinata in 56 giorni, poi hanno rallentato;

• a parità di numero d’infetti, si muore molto di meno che in Italia: nel nostro Paese, muoiono 2,2 persone ogni 100 contagiate, nel Regno Unito solo 0,9. Oltre che essere l’ennesima riprova che il nostro sistema di contact tracing fa acqua, il dato dimostra che la vaccinazione non solo riduce la diffusione del contagio, ma anche la letalità dei casi accertati.

Torniamo alla vaccinazione in Italia. Al 22 aprile, la popolazione che ha ricevuto almeno una dose di vaccino è il 19,5% del totale, pari a circa 11 milioni di residenti. La quota di popolazione italiana vaccinata è la stessa della Francia e un po’ inferiore alla Germania e alla Spagna (ambedue 22%). Quantunque il pasticcio dei contratti di fornitura dei vaccini causato da Bruxelles abbia ritardato l’azione di tutti i paesi europei, Germania e Spagna – che due mesi fa erano al nostro stesso livello – hanno progredito nella vaccinazione a ritmi superiori: in Germania la popolazione vaccinata è aumentata del 10% in 25 giorni, in Spagna per lo stesso aumento sono stati sufficienti 22 giorni, mentre in Italia ne sono occorsi 30.

Oggi in Italia procediamo inoculando circa 330 mila nuovi vaccini al giorno. Il che significa che, di questo passo, arriveremo al 50% in circa 56 giorni, ossia verso la fine di giugno. Se si effettuassero, come auspica il generale Figliuolo, 500mila dosi al giorno, il 50% di immuni si raggiungerebbe in 37 giorni, ossia alla fine di maggio.

Tuttavia, la speranza di arrivare in tempi brevi al livello del Regno Unito è condizionata dalla necessità di fare le seconde dosi dei vaccini Pfizer e Moderna, non essendo la prima dose particolarmente efficace da sola. Non solo, ma, come dimostrano sia l’esperienza inglese che quella israeliana, ad un certo punto della vaccinazione di massa diventa difficile mantenere la velocità del sistema a regime. Nel Regno Unito, il rallentamento è cominciato quando avevano vaccinato tra il 40 e il 45% della popolazione (si veda la Figura 3). Quali siano i motivi è difficile dire, ma probabilmente dipende dalla necessità di procedere con le seconde dosi, oppure, anche, dal fatto che la popolazione delle età di mezzo, essendo in età da lavoro, è meno disponibile dei pensionati alla imposizione di tempi di vaccinazione. O, semplicemente, è stato voluto dalle autorità sanitarie. Il rallentamento si è constatato anche in Israele.

Figura 3. Percentuale cumulata di popolazione che, in vari Paesi, ha ricevuto almeno una dose di vaccino contro il coronavirus (fonte: Our World in Data)

In definitiva, ce la faremo in Italia a raggiungere prima dell’estate quel 60% di vaccinati che ci darebbe la possibilità di vivere l’estate con relativa tranquillità? Probabilmente sì, la percentuale non dipende questa volta dal virus, ma dalla nostra volontà e capacità. Bisogna rendersi conto che i migliori risultati sul piano numerico si raggiungono con i vaccini AstraZeneca e Jenssen (Johnson & Johnson): per il primo vaccino, il richiamo si può fare tre mesi dopo, per l’altro basta una dose. Inoculando i vaccini di Pfizer e Moderna, invece, chi avrà il vaccino in giugno, dovrà fare il richiamo in luglio, chi l’avrà in luglio dovrà farlo in agosto. Siamo sicuri che in agosto non ci siano altri sbandamenti (di sistema sanitario, di comunicazione, ma anche di ingiustificata ritrosia da parte della gente) come quelli osservati a seguito della polemica sui rischi sanitari associati ad AstraZeneca?

In ogni caso, la tranquillità estiva sarà solo relativa. Infatti, una seconda domanda, ancor più fondamentale, sorge spontanea: quando raggiungeremo quell’immunità di gregge che qualcuno ha fissato attorno al 70% (e che finora nessuno ha raggiunto, neppure Israele)? Se dovremo fare tante seconde dosi e, come è facile prevedere, ci sarà un rallentamento dei vaccini ad agosto, non ci arriveremo prima dell’autunno. Quindi, anche durante l’estate, il sistema di vaccinazione dovrebbe restare in attività e gli italiani dovrebbero mantenere le regole igienico-prudenziali attuali. Certamente potranno respirare fuori casa molto più di quanto non sia concesso oggi.

Poi, appena arriverà l’autunno, diventerà attuale il problema di ri-vaccinare quel 4% che è stato vaccinato alcuni mesi fa e, purtroppo, nessuno sa seriamente né quanto dura l’effetto, né se l’effetto è lo stesso per ogni vaccino e per ogni categoria di persona. Ma conviene ritornare sul problema a tempo debito, è meglio affrontarne uno alla volta.

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