Non esiste una materia più complessa e controversa di quella del fisco in Italia. Per una serie di ragioni che vale la pena di ricordare ora che Governo e Parlamento intendono mettervi mano con l’ambizione di varare, finalmente, una riforma di sistema che superi l’attuale condizione iniqua e frammentata.
Intanto uno studio della Cgia di Mestre assicura che le tasse nel nostro Paese siano almeno cento e vanno dall’Addizionale comunale sui diritti d’imbarco di passeggeri sugli aeromobili al Tributo speciale discarica passando, seguendo l’ordine alfabetico, per le imposte sulla sigaretta elettronica e i gas incondensabili.
Ce n’è per tutti i gusti. Tanto che i commercialisti avvertono allarmati che da noi la pressione arrivi al 48,2% battendo in questa triste classifica tutti i partner europei. L’efficienza del settore, fortemente sbilanciato verso il lavoro dipendente e le famiglie, è tra le peggiori al mondo collocandosi al 128° posto.
Andiamo avanti. Su oltre 60 milioni di abitanti i contribuenti sono circa 41,4 milioni. Quelli che versano al fisco almeno 1 euro sono 31,5 milioni. Gli altri o guadagnano meno della soglia imponibile o riescono a pareggiare il conto usufruendo di bonus e incentivi di cui il nostro apparato abbonda con poco controllo.
Il valore medio di quanto versato è di quasi 21.000 euro. L’82% dell’ammontare complessivo deriva da lavoro dipendente e pensioni. Da qui la constatazione che il peso gravi in prevalenza sui soliti noti che non potendo sfuggire all’occhiuta amministrazione fiscale finiscono per essere i più colpiti e tartassati.
Il 45% dei contribuenti – circa 18,15 milioni di persone – dichiara un reddito inferiore ai 15.000 euro annui e contribuisce all’Irpef, la più consistente tra le imposte, solo per il 4,2%. Un’ulteriore conferma che esiste una vasta area di cittadini la cui partecipazione è quasi nulla.
La fetta più ampia dei contribuenti, quasi il 50%, si colloca nella fascia di reddito tra 15.000 e 50.000 euro e sostiene il 57% dell’Irpef. Chi dichiara tra 50.000 e 100.000 euro contribuisce all’Irpef per un buon 39% pur rappresentando appena il 5% della platea.
I ricchi, definiti o percepiti come tali, sono pochi. Solo l’1% del campione dichiara di guadagnare oltre i 100.000 euro e appena lo 0,1% (che corrisponde a circa 41.000 contribuenti) supera la soglia dei 300.000 euro. A guardare certi consumi e stili di vita non si direbbe, ma i numeri sono questi.
La categoria che mediamente dichiara di più è quella dei lavoratori autonomi che arriva a una media di 41.500 euro mentre continua a destare sorpresa il dato relativo agli imprenditori organizzati in ditte individuali che mostrano di guadagnare, con 21.000 euro, meno dei propri dipendenti.
Insomma, più che di un quadro si tratta di una specie di mosaico con tessere che difficilmente si combinano tra loro. Tutto questo senza contare l’area dell’elusione e dell’evasione che incide fortemente su quell’efficienza del servizio che ci colloca agli ultimi posti delle classifiche internazionali.
Infine, ma solo per carità di patria, non va dimenticato che l’architettura delle regole che sovrintende alla riscossione di qualsivoglia tributo è così mal congegnata, così antipatica e farraginosa, da rendere difficile e penoso perfino il gesto di chi vorrebbe pagare quanto dovuto e stare in pace con la legge.
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