Le ultime settimane dell’anno sono sempre piene di consuntivi e report che cercano di riassumere l’andamento economico del Paese.

Istat tra il 28 novembre e il 2 dicembre ci ha dato molte informazioni: il mercato del lavoro a ottobre 2022 ha visto l’occupazione in crescita (+0,4%, pari a +82mila rispetto al mese prima); il tasso di occupazione sale al 60,5% (valore record dal 1977), il tasso di disoccupazione scende al 7,8%. L’aumento annuale (+496mila unità rispetto a ottobre 2021) coinvolge entrambi i sessi e tutte le classi d’età, a eccezione dei 35-49enni per effetto della dinamica demografica negativa (gli occupati diminuiscono, ma la popolazione in quella classe di età cala più velocemente degli occupati). Crescono anche gli occupati a tempo indeterminato, forse per effetto delle conversioni contrattuali, forse per effetto del rientro dalla cassa integrazione, ma si tratta di ipotesi.



Sempre da Istat sappiamo che l’inflazione a novembre arriva all’11,8% annuo (stesso dato di ottobre), con l’erosione dei salari reali che ne consegue.

La produttività del lavoro risulta in calo nel 2021 e le ore lavorate sono stazionarie. Il Pil è in crescita dello 0,5% nel terzo trimestre 2022. Gli andamenti congiunturali del valore aggiunto sono negativi per agricoltura e industria, diminuiti rispettivamente dell’1,4% e dello 0,9%, mentre i servizi registrano una crescita dello 0,9%. La domanda interna almeno è in ripresa e il fatturato dei servizi cresce su base annua del 12,4% nel terzo trimestre 2022.



Insomma, un quadro meno negativo di quanto atteso, almeno nel breve periodo, anche se i problemi strutturali restano sempre gli stessi.

Il Censis, nell’anticipare alcuni contenuti del rapporto sul 2022, riassume così la situazione del mercato del lavoro italiano: “Un’occupazione povera di capitale umano, una disoccupazione che coinvolge anche un numero rilevante di laureati e offerte di lavoro non orientate a inserire persone con livelli d’istruzione elevati indeboliscono la motivazione a fare investimenti nel capitale umano. L’83,8% degli italiani ritiene che l’impegno e i risultati conseguiti negli studi non mettono più al riparo i giovani dal rischio di dover restare disoccupati a lungo. L’80,8% degli italiani (soprattutto i giovani: l’87,4%) non riconoscono una correlazione diretta tra l’impegno nella formazione e la garanzia di avere un lavoro stabile e adeguatamente remunerato”.



Anche sul futuro dello sviluppo del paese le aspettative non sono in miglioramento. Il rapporto Svimez del 28 novembre segnala che “il Pil meridionale si contrarrebbe nel 2023 fino a -0,4%, mentre quello del Centro-Nord, pur rimanendo positivo a +0,8%, segnerebbe un forte rallentamento rispetto al 2022. Il dato medio italiano dovrebbe attestarsi invece intorno al +0,5%”. Svimez valuta che a causa dei rincari dei beni energetici e alimentari l’incidenza delle famiglie in povertà assoluta potrebbe crescere di circa un punto percentuale salendo all’8,6%, con forti eterogeneità territoriali: +2,8 punti percentuali nel Mezzogiorno, contro 0,3 del Nord e 0,4 del Centro. In valori assoluti si stimano 760 mila nuovi poveri causati dallo shock inflazionistico (287 mila nuclei familiari), di cui mezzo milione al Sud.

Non possiamo bollare il pessimismo di Censis e Svimez come un semplice atteggiamento pessimistico e vagamente iettatorio, o come una posizione anti-governativa a priori (peraltro i risultati di ottobre e novembre, nel bene e nel male, non possono essere ascritti al Governo attuale). Adam Tooze, professore di storia alla Columbia University, ha redatto una sintetica lista degli shock che il mondo sta subendo – “pandemia, siccità, alluvioni, mega tempeste e incendi incontrollabili, minacce di terza guerra mondiale” – e ha coniato un termine che li riassume tutti: la policrisi.

La policrisi è caratterizzata da fenomeni strettamente intrecciati fra di loro: l’inflazione dipende dalla crisi energetica, che a sua volta è stata inasprita prima dal Covid e poi dall’aggressione all’Ucraina; l’inflazione riduce i salari in un mercato del lavoro dove la demografia sta riducendo le persone in età da lavoro; guerra e crisi energetica assieme allontanano la riduzione dell’impatto ambientale, allargando il divario potenziale futuro fra popolazioni ricche e popolazioni povere. Povertà ed esclusione sociale alimentano complottismo e populismo, tanto che Papa Francesco durante la messa per la VI Giornata Mondiale dei Poveri ha detto: “Non facciamoci incantare dalle sirene del populismo, che strumentalizza i bisogni del popolo proponendo soluzioni troppo facili e sbrigative”.

Per completare il quadro della policrisi in Italia, il Censis sottolinea la “fuga fatale nel pensiero magico, stregonesco, sciamanico, che pretende di decifrare il senso occulto della realtà. Per il 5,9% degli italiani (circa 3 milioni di persone), il Covid semplicemente non esiste. Per il 10,9% il vaccino è inutile e inefficace. Per il 31,4% è un farmaco sperimentale e le persone che si vaccinano fanno da cavie. Per il 12,7% la scienza produce più danni che benefici … il 19,9% degli italiani considera il 5G uno strumento molto sofisticato per controllare le menti delle persone … il 5,8% è sicuro che la Terra sia piatta e il 10% è convinto che l’uomo non sia mai sbarcato sulla Luna”.

Bene, se siamo in piena policrisi forse dobbiamo ripensare anche le politiche pubbliche. Politiche specialistiche e settoriali ben fatte sono necessarie, ma ciò che colpisce del dibattito di oggi è la quasi totale incapacità di uscire da una visione verticale, a silos, dei problemi e la scarsa capacità di coglierne l’essenza complessiva. Si passa molto tempo a discutere e a leggere sull’obbligo del Pos e sulla soglia obbligatoria, 30 o 60 euro, ad anticipare la pensione a quota 40, 41, 101, 103, di Opzione donna coi figli, senza figli, del Reddito di cittadinanza sì, del reddito no, di 6 mesi, di 8 mesi, di un anno, del salario minimo non ora, della contrattazione, dei bonus…

Insomma, la politica fa di tutto per ricordarci un’evidenza: lo Stato gode di una razionalità limitata (nemmeno gli altri livelli di governo stanno molto meglio).

A questo proposito sarebbe bene tornare a leggere cosa scriveva Marco Martini, a 20 anni dalla sua prematura scomparsa, approfittando del libro edito da Itaca edizioni (“Economia, l’ordine della casa”). Scopriremo di nuovo ciò che ci ha detto: che la risposta alla razionalità limitata sta nella sussidiarietà, nel guardare a come le persone nelle loro aggregazioni libere affrontano i problemi, a come le loro esperienze possono generare un bene comune anche nel rapporto con i diversi livelli di governo; che un governo che voglia essere veramente nuovo può solo essere un governo sussidiario. E a farci ricordare cosa serve per uscire dalle emergenze: «Cresce la domanda di uomini capaci di responsabilità gratuita di fronte agli altri e alle cose, ma si scopre che essi sono estremamente rari».

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