L’ingresso nel mondo del lavoro, continua a essere pieno di ostacoli, soprattutto per coloro che hanno un basso livello di istruzione. Nonostante il lieve miglioramento registrato negli ultimi anni, in Italia i Neet, ovvero coloro che non studiano, e non sono coinvolti in alcun percorso formativo, nel 2022 rappresentavano il 19% del totale dei giovani nella fascia di età dai 15 ai 29 anni. Questo dato, rispetto agli altri paesi dell’Unione europea, è inferiore solo a quello registrato in Romania, dove è del 19,8%. Le cause di questa condizione possono essere molteplici, dalla difficoltà a trovare un lavoro all’inattività dovuta a scoraggiamento (non cercare lavoro per la convinzione che non vi siano opportunità lavorative per loro), alla cura di familiari non autonomi inconciliabile con gli orari lavorativi, a gravi problemi di salute, ecc.
A rendere più preoccupante la situazione dei giovani italiani sul mercato del lavoro è la quota di disoccupati di lungo periodo (più di 12 mesi). Nella fascia di età 15-29 anni, in Italia, essi rappresentano il 53,4% del totale dei disoccupati, contro una media europea del 20,8%. Sebbene le cause di questa situazione siano principalmente legate alle scarse opportunità lavorative, un’analisi più approfondita del profilo di questi giovani e del modo in cui essi interagiscono con il mercato del lavoro è assolutamente indispensabile per identificare le azioni più appropriate per favorirne l’inserimento nel mondo produttivo.
Specie in alcune aree del nostro Paese, infatti, è ancora diffusa la propensione ad accettare di lavorare senza un contratto formale, con la motivazione principale di dover acquisire esperienza.
Un recente studio internazionale, svolto nell’ambito del progetto “Track-in – Public Employment Services Tracking Effectiveness to Support Rural NEETs”, finanziato con i fondi EEA Grant Iceland-Liechtenstein-Norway Grant (diretto dall’Università di Lisbona, con il coinvolgimento per l’Italia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e dell’Università di Napoli Parthenope), ha studiato le dinamiche e i comportamenti dei giovani Neet di età compresa tra i 25 e i 29 anni nel loro approcciarsi al mondo del lavoro, con l’obiettivo di capire le interazioni che essi instaurano e le aspettative che essi ripongono negli uffici di pubblico impiego. Tra i Neet nella fascia di età tra i 15 e i 29 anni, il periodo tra i 25 e i 29 anni è sicuramente il più problematico, poiché essere Neet in questa fase della vita significa, nella maggior parte dei casi, essere esposti al rischio di non trovare lavoro, pur avendo completato ormai da tempo il proprio percorso formativo.
L’indagine statistica ha coinvolto circa 5.000 giovani Neet residenti in Italia, Spagna, Portogallo, Bulgaria, Estonia e Lituania. Uno dei temi trattati dall’indagine riguardava le precedenti esperienze lavorative di questi giovani. Focalizzandoci solo sui giovani italiani che hanno dichiarato di aver avuto una precedente esperienza lavorativa, solo il 20,0% ha riportato di aver lavorato con un contratto a tempo indefinito; il 52,3% aveva un contratto a tempo determinato e il restante 2,.6% ha dichiarato di aver lavorato senza alcun contratto (v. tabella seguente).
Tabella – Distribuzione delle risposte ottenute dai giovani intervistati nell’indagine Track-in che hanno dichiarato una precedente esperienza lavorativa, per tipo di contratto e Paese di residenza
Fonte: Elaborazioni da Indagine Tr@ck-in.
I dati per Lituania, Bulgaria ed Estonia non sono riportati in quanto i rispondenti al quesito erano eccessivamente pochi. I dati italiani, presentando sbilanciamento in termini di genere e regione di residenza, sono stati ponderati al fine di riportare il campione alla stessa proporzione per genere e regione della popolazione italiana.
La pratica di lavorare senza contratto è risultata particolarmente diffusa in Italia, dove i giovani interessati rappresentano il 27,6% di tutti gli intervistati con precedente esperienza lavorativa, con particolare concentrazione nel Mezzogiorno.
Lavorare senza un contratto vuol dire rinunciare a qualsiasi diritto e forma di tutela assicurativa e previdenziale, oltre che alimentare un sistema criminale di evasione fiscale. In alcuni casi, tale scelta è dettata dalla necessità, nel senso che è l’unica forma di lavoro che risulta disponibile, o addirittura viene espressamente preferita dal lavoratore in quanto collegata all’opportunità di ricevere una paga superiore o di non rinunciare alla contemporanea percezione di sussidi di disoccupazione. Però, ciò che è sembrato interessante verificare è se aver vissuto un’esperienza di lavoro a nero possa aver accresciuto in questi giovani il desiderio di ricorrere agli esistenti strumenti di politica attiva del lavoro, come Garanzia Giovani, per la cui fruizione occorre essere iscritti agli uffici di pubblico impiego.
Garanzia Giovani è un programma lanciato dalla Commissione europea che prevede una serie di iniziative finalizzate a migliorare l’occupabilità dei giovani Neet, attraverso piani e percorsi formativi volti ad accrescere la loro occupabilità, offrendo loro opportunità lavorative, ma anche formative per accrescere le competenze professionali. Entrato in vigore nel 2014 e inizialmente riservato alle sole regioni italiane con un tasso di disoccupazione giovanile superiore al 25%, il programma è stato poi esteso anche alle poche regioni con un tasso inferiore (Veneto e Trentino-Alto Adige). A seguito della crisi socio-economica da Covid-19, la Commissione europea ha lanciato un nuovo programma (Reinforced Youth Guarantee), riservato solo ai giovani delle regioni del Mezzogiorno.
Al 2020, il 60,5% dei giovani iscritti a Garanzia Giovani in Italia aveva ricevuto almeno un’offerta di lavoro nei quattro mesi successivi all’iscrizione. Tuttavia, la quota di giovani Neet raggiunti da questa iniziativa si è finora mantenuta bassa, intorno al 13% del totale degli iscritti al programma.
La metodica statistica scelta per verificare la maggiore propensione a registrarsi al programma da parte di coloro che hanno vissuto un’esperienza di lavoro senza contratto è il propensity-score, che consiste nel confrontare l’incidenza di uno specifico risultato in due gruppi, di cui uno è composto dagli individui “trattati”, nel nostro caso coloro che hanno vissuto un’esperienza di lavoro a nero, e l’altro, detto di controllo, è composto da individui “non trattati”, nella fattispecie coloro che hanno lavorato in passato con un regolare contratto. Il risultato osservato sui due gruppi rappresenta, nel caso in esame, la decisione di iscriversi o meno al fondo Garanzia Giovani.
L’analisi ha rivelato una significativa maggiore propensione a iscriversi al fondo da parte dei giovani che hanno lavorato senza un contratto. Lo stesso risultato è stato ottenuto confrontando coloro che hanno lavorato con un contratto a tempo determinato con coloro che avevano un contratto a tempo indeterminato. Anche in questo caso, infatti, si è rilevata una maggiore propensione all’iscrizione a Garanzia Giovani da parte dei più svantaggiati, ovvero coloro che hanno lavorato con un contratto a termine.
Sembra, pertanto, prevalere, sebbene in un clima generale di assenza di fiducia nei confronti delle istituzioni (alla domanda: Quanto valuti il tuo livello di sfiducia nelle Istituzioni su una scala da 0 a 4, nel campione italiano il 75% dei giovani ha espresso un punteggio pari almeno a 4), il desiderio dei giovani intervistati che hanno sperimentato le peggiori condizioni lavorative di affidarsi alle iniziative esistenti per migliorare la loro condizione.
In conclusione, al di là delle effettive opportunità di lavoro esistenti, ciò che può fare la differenza in termini di comportamenti positivi dei giovani, intesi come propensione a non scoraggiarsi e a migliorare le proprie competenze, è la percezione che le istituzioni, uffici di pubblico impiego in primis, sono in grado di offrire assistenza, consigli, informazioni che li aiutino a perseverare nella ricerca di lavoro e a intraprendere i percorsi più adatti alle loro necessità.
Ciò è ancora più importante se si pensa che in Italia la quota di Neet che sono inattivi per scoraggiamento o per necessità di accudimento (i cosiddetti care-givers) è tra le più elevate a livello europeo.
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