Nei giorni scorsi è stato pubblicato il periodico rapporto dell’Eurobarometro del mercato del lavoro che offre alcune utili informazioni per capire come questo si sta muovendo nel nostro continente in questa fase di rilancio dell’economia post-Covid. Il barometro è, opportuno precisare, un indicatore anticipatore mensile basato su un’indagine delle agenzie per l’impiego locali o regionali in Austria, Bulgaria, Belgio-DG, Belgio-Fiandre, Belgio-Vallonia, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Germania, Islanda, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, Malta, Polonia, Portogallo e Svizzera.
In una prima parte segnala l’evoluzione dei dati destagionalizzati sulla disoccupazione per i prossimi tre mesi, mentre nella seconda si “prevede” l’andamento dell’occupazione. Si fornisce, insomma, una prospettiva sullo sviluppo complessivo del mercato del lavoro in Europa.
Guardando, ad esempio, il rapporto tra le assunzioni (transizione dalla disoccupazione all’occupazione) e i licenziamenti (transizione dall’occupazione alla disoccupazione) emerge come negli ultimi dieci anni il primo dato è sempre stato maggiore al secondo. Nel secondo trimestre del 2020, questa relazione si è però invertita drasticamente.
Nonostante questo si deve constatare come la disoccupazione non sia aumentata in modo ancor più drammatico di quello previsto nei Paesi dell’Europa a 27 grazie a strumenti che favoriscono la riduzione delle ore di lavoro come, nel nostro Paese, la cassa integrazione, che, come dimostrato anche dalla ricerca scientifica, possono essere una misura efficace per prevenire la perdita di posti di lavoro ed evitare la disoccupazione in gravi recessioni come quella che stiamo ancora vivendo.
Si pensi che, secondo i calcoli dell’Istituto sindacale europeo (CES), erano oltre 42 milioni le domande di sostegno di questo tipo nel nostro continente prima della fine di aprile 2020. Un dato, questo, che corrisponde a circa un quarto della forza lavoro complessiva dell’Unione. In termini di numero assoluto di domande, la Francia è in testa con 11,3 milioni (47,8% di dipendenti), seguita da Germania (10,1 milioni, 26,9%) e Italia (8,3 milioni, 46,6%).
Se si guarda, poi, in particolare, alle varie fasce di età i dati mostrano come i lavoratori espulsi dal mercato del lavoro hanno vissuto dinamiche diverse. Come noto, infatti, il mercato del lavoro dei giovani è molto sensibile ai cicli economici. In tempi di crisi economica come quella che stiamo vivendo, la partecipazione dei giovani è stata, difatti, più colpita rispetto all’occupazione degli adulti. Una percentuale relativamente alta di giovani lavoratori è, ad esempio, impiegata in settori a chiusura forzata e caratterizzata da contratti a tempo determinato e da forme di lavoro atipiche. Altresì la percentuale di giovani lavoratori attivi nei settori meno colpiti dalla crisi (settore essenziale e telelavorabile) è relativamente bassa.
Da questi dati si deve, quindi, ripartire e immaginare, oltre che la programmazione, la concreta implementazione delle misure del Recovery fund. Senza, infatti, un suo utilizzo intelligente il rischio è che dalla crisi pandemica non si esca, come auspicato, migliori, ma invece più poveri e con maggiori, e ancora più evidenti e dolorose, disuguaglianze.
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