Nel mese di dicembre 2024 il numero degli occupati rispetto al mese precedente rimane sostanzialmente stabile (-4 mila), quale risultato finale della crescita di 93 mila lavoratori dipendenti a tempo indeterminato e della riduzione di quelli a termine (-69 mila) e di quelli autonomi (-28 mila).
I dati pubblicati ieri dall’Istat segnalano una parziale inversione di tendenza rispetto ai mesi precedenti sul numero delle persone che cercano lavoro (+89 mila) e una positiva riduzione di quelle inattive (-59 mila). La comparazione con i numeri del mese di dicembre 2023 consente di fare un bilancio dei risultati ottenuti nell’anno recente e una lettura più solida delle tendenze in atto nel nostro mercato del lavoro, dominate dalla crescita dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato (+687 mila), che compensa la consistente riduzione di quelli a termine (-402 mila) e dei lavoratori autonomi (-11 mila). I nuovi posti di lavoro (+274 mila) sono equamente distribuiti tra maschi (+138 mila) e femmine (+136 mila). Coincidono con un’analoga riduzione dei disoccupati, mentre aumenta in modo preoccupante (+167 mila) il numero delle persone inattive.
Le indagini dell’Istat mettono in evidenza alcuni tratti strutturali del nostro mercato del lavoro che ci accompagneranno per un lungo periodo. L’invecchiamento della popolazione occupata procede inesorabile. La quota degli occupati over 50 anni (il 42% del totale) ha superato da circa due anni quella tra i 35 e i 49 anni ed equivale numericamente al doppio di quella dei giovani fino a 34 anni. Il mancato ricambio generazionale coincide anche con la perdita delle professioni esecutive qualificate e specializzate e motiva una parte rilevante della quota dei profili cercati dalle imprese che non riscontrano lavoratori disponibili (oltre il 48% nell’indagine Excelsior Unioncamere- Ministero del Lavoro).
La difficoltà nel reperire manodopera orienta le imprese ad assumere i lavoratori a tempo indeterminato che viaggiano a un ritmo superiore rispetto a quello degli occupati in generale con un incremento di circa 1,5 milioni rispetto al 2019. A mettere in equilibrio l’andamento dell’economia, non particolarmente brillante, con quello dell’occupazione è la riduzione del numero medio delle ore medie lavorate anche con l’utilizzo delle casse integrazioni. Ne risente negativamente l’andamento della produttività del lavoro, in particolare nei comparti economici ad alta intensità di manodopera dei servizi di accoglienza, ristorazione rivolti alla collettività e alle persone, che hanno offerto il contributo più rilevante all’aumento dei degli occupati. Nel contesto attuale, la riduzione del numero dei contratti a termine non è un dato positivo, perché riflette la rinuncia delle imprese ad espandere l’attività.
La crescita dell’occupazione ha consentito un’analoga diminuzione delle persone che cercano attivamente il lavoro, ma non ha inciso sulla quota delle persone inattive, in particolare quella dei giovani e delle donne, che per i due terzi sono concentrate nelle regioni del Mezzogiorno. Si tratta del più importante bacino delle potenziali risorse umane da occupare per compensare l’esodo dei lavoratori anziani per motivi di pensione, che nei prossimi 15 anni sarà superiore al numero dei giovani in uscita dai percorsi scolastici e universitari. Negli ultimi due anni il tasso di crescita dell’occupazione nel Meridione è stato superiore rispetto a quello del Centro-Nord, ma non ancora sufficiente, in termini di quantità e qualità, a contenere le emigrazioni dei giovani verso altri territori nazionali o Paesi europei.
Nei territori del Centro-Nord la domanda di lavoro risulta superiore all’offerta disponibile e i tassi di occupazione sono già allineati alle medie europee. In tutto il territorio nazionale, anche se con diversa intensità, si registra una costante crescita del mismatch tra i profili richiesti dalle imprese e i lavoratori disponibili. Il margine di espansione dell’occupazione femminile è elevato, ma l’incremento risulta ostacolato dalla carenza di servizi di cura per i figli e per le persone non autosufficienti. La rilevanza assunta dai lavoratori anziani rende più problematiche le transizioni lavorative nel caso di perdita del lavoro.
In assenza di adeguati interventi, queste criticità sono destinate ad aggravare spontaneamente per l’impatto della riduzione demografica della popolazione in età di lavoro e delle innovazioni tecnologiche sulle competenze dei lavoratori e disegnano il fabbisogno delle politiche economiche e del lavoro necessarie per rigenerare la popolazione lavorativa. Una priorità assoluta per orientare in modo produttivo le risorse disponibili, ma che fatica a diventare tale nelle scelte della classe dirigente.
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