L’occupazione è in calo a novembre 2024, afferma Istat nel comunicare i risultati provvisori della rilevazione mensile sulle forze di lavoro. Il calo è lieve, circa 13.000 occupati in meno rispetto al mese precedente ovvero -0,1%. In calo risultano gli uomini con meno di 35 anni di età e i contratti a termine. Per contro, crescono le donne occupate e i lavoratori da 35 anni in su, mentre restano stabili i lavoratori autonomi.
Il tasso di occupazione complessivo resta al 62,4%. Si trattasse di una gara, potremmo dire che il mese si conclude con un pareggio rispetto al mese precedente, ma vale la pena leggere anche gli altri indicatori.
Se c’è stato un calo degli occupati, si pensa, saranno aumentati i disoccupati: invece no. I disoccupati calano: il tasso di disoccupazione scende al 5,7%, il minimo da 20 anni, ma crescono gli inattivi. Insomma, chi perde il lavoro non necessariamente comincia subito a cercarlo, oppure chi lo cerca da troppo tempo e non lo trova, smette di cercarlo; c’è il caso di chi smette di lavorare perché deve seguire la famiglia (i figli, un genitore anziano non più autosufficiente…) e smette sia di lavorare che di cercare un lavoro. Ne consegue che il tasso di inattività (per l’età compresa fra 15 e 64 anni) cresce, perché crescono gli inattivi. In particolare continuano a crescere di numero da più di un anno: nell’ottobre del 2023 erano al minimo ventennale (12 milioni e 160 mila), a novembre del 2024 sono circa 408 mila in più.
Il dato della disoccupazione conferma le difficoltà per i giovani: la disoccupazione giovanile è risalita al 19,2%, +1,4% in più rispetto al mese precedente, visto che i giovani che hanno perso lavoro hanno cominciato subito a cercarlo.
Al netto della componente demografica per la classe di età fra i 15 e i 34 anni gli occupati sono calati dell’1,7% rispetto allo scorso anno, i disoccupati sono calati del 24,4% e gli inattivi sono cresciuti del 5,1%. Valori tendenziali simili si registrano per la classe di età 35-49 anni: occupati a +0,6%, disoccupati a -27,2% e gli inattivi a + 6,6%. Chi gode di ottima salute sono invece gli over 50 (ma entro i 64 anni): occupazione al +2,9% disoccupati – 19,3% e inattivi in calo del 3,8%.
Gli over 50 fanno il pieno di indicatori positivi e si confermano la forza trainante del mercato. Notizia buona, ma non buonissima, dato che per far crescere il mercato nel lungo termine occorrerebbe spingere sui giovani che potrebbero essere al lavoro anche nei prossimi 20 anni, mentre nei prossimi 20 anni gli over 50 saranno (forse) in pensione. Il “forse” è d’obbligo, visto che le manovre del Governo per tenere in equilibrio la spesa pubblica si stanno indirizzando verso un sostanziale allungamento della vita lavorativa. Al di là delle possibilità nominali di andare in pensione prima, la sostanza è che se non vuoi una pensione da fame devi stare al lavoro, e se vuoi una pensione bassa sperando di poter contare poi sul welfare sociale ti sarà impedito.
Un esempio in merito riguarda l’uso dei fondi pensione complementari per anticipare la pensione: si possono usare solo se la pensione prevista è ben più alta del minimo: il Governo stesso prevede che si tratti di poche centinaia di casi per il 2025. Abbandonata la retorica delle carriere lavorative brevi, speriamo che venga abbandonata anche la retorica del lavoratore senior che ruba il lavoro ai giovani: nessuna politica di scambio demografico (metti in pensione un senior e assumi uno o due giovani) ha mai funzionato, perché il lavoro è un’azione dell’uomo che genera altro valore e altro lavoro, non un posto da scambiare.
Il problema giovanile e l’aumento degli inattivi sono problemi strutturali, non congiunturali, che richiedono interventi sistemici specifici, vale a dire che non si risolveranno da soli se l’economia cresce. Al contrario, impediranno all’economia di crescere se non vengono risolti.
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