Inapp, in collaborazione con Inps, ha presentato il 22° rapporto sull’apprendistato che raccoglie il monitoraggio dei contratti degli apprendisti per conto del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.
Il rapporto presenta i dati del triennio 2020-22 per tutte le categorie del contratto di apprendistato. Scansione utile per valutare i dati del ’22 rispetto al ’20 in quanto il ’21 è stato anno di flessione generalizzata per l’impatto della pandemia. Sono stati poi raccolti i dati del ’23 solo per l’apprendistato di primo livello e per quello di alta formazione e ricerca. Questi ultimi sono l’attuazione dei modelli di apprendimento su cui si punta per sviluppare un percorso di formazione duale parallelo e con passerelle di interscambio con il sistema scolastico tradizionale.
Guardando i dati nel 2022 abbiamo complessivamente 569.264 contratti di apprendistato attivi. È un incremento di 4,5 punti sull’anno precedente e permette di tornare sopra il dato del 2020 di 2,5 punti percentuali. Il risultato totale è dato da 365.886 avviamenti (+11%), 114.554 trasformazioni in contratti a tempo indeterminato (+44%) e da 222.314 cessazioni.
Il fenomeno delle cessazioni è particolarmente significativo. Il 73% riguarda dimissioni volontarie e solo il 20,5% licenziamenti. Oltre il 60% avviene nel primo anno e riguarda i settori dell’alloggio e ristorazione e dell’edilizia. Pur scontando che una quota dei giovani si dimettono perché hanno trovato una migliore collocazione, appare chiaro che è mancato un orientamento capace di supportare le scelte professionali nella fase di ricerca dell’occupazione. Le dimissioni indicano così un disagio legato a un lavoro che non corrispondeva alle attese e alle capacità dei nuovi apprendisti.
Altro dato problematico della diffusione del contratto di apprendistato è la concentrazione nel nord e in particolare nel nord-ovest: sono rispettivamente il 60% del totale nazionale e il 60% del totale dell’area nord.
Per quanto riguarda la tipologia contrattuale è ancora dominante l’apprendistato di secondo livello, il contratto professionalizzante, che prevede 120 ore di formazione esterna e il resto è tutto on the job, dato che ha come finalità il completamento delle competenze professionali. I contratti professionalizzanti sono il 97,7% del totale. Il forte ricorso a questo tipo di contratto spiega anche perché l’88% degli apprendisti ha fra i 18 e i 29 anni (il 60% fra 18 e 24). L’apprendista è prevalentemente maschio, solo il 40% è donna.
I settori che assorbono maggiormente giovani apprendisti sono il commercio (19,3%), il manifatturiero (15,7%) e alloggio e ristorazione (13,9%), che sfiorano complessivamente il 50%.
Vediamo un po’ più nello specifico i dati riferiti all’apprendistato di primo e di terzo livello. Sono i contratti che determinano il rapporto fra apprendistato e sistema duale della formazione professionale. Su questo modello di formazione professionale sono investite importanti risorse del Pnrr e i primi risultati di questo investimento si vedono già nei dati del 2023.
Come visto precedentemente, nel 2022 i due contratti rappresentano complessivamente il 2,3% del totale degli apprendisti. In numeri assoluti i contratti di primo livello sono 10.256 e per il 75% al nord. I contratti di terzo livello sono in tutto 1.307 e sono per più di 900 al nord.
Le nuove risorse hanno dato nel 2023 un impulso, ma non hanno corretto lo squilibrio geografico. L’apprendistato di primo livello cresce del 7,8%, ma il nord-est cresce del 17,2% e rappresenta da solo il 52% del totale, il nord-ovest fa +4,4% ed è il 37,5%, centro e sud scendono rispettivamente del 12,1% (3,5% sul totale) e del 18% (6,8% sul totale).
Su questi dati pesa il ritardo di molte regioni del centro-sud nell’organizzare un’adeguata legislazione e nel fornire un’offerta formativa adeguata al modello di formazione duale. È un ritardo grave visti i risultati positivi che il sistema duale registra dove viene attuato. Risultati positivi verso l’abbandono scolastico e per collocazione lavorativa a conclusione del percorso formativo.
Il contratto di primo livello viene utilizzato per il 43% per percorsi di qualifica professionale e per il 36% per giungere a un diploma professionale. Solo per il 6,9% per Ifts (diploma tecnico professionale) e anche questo dato è conseguente all’assenza di decisioni in capo alle politiche regionali.
Il contratto di apprendistato di terzo livello, per alta formazione e ricerca, è il contratto che supporta lo sviluppo dei percorsi professionali degli Its. È il percorso individuato per permettere di arrivare a un livello di formazione terziario con qualifica di tecnica specialistica. Permette inoltre di proseguire verso gli studi universitari e anche per i settori della ricerca. È utilizzabile inoltre per le fasi preparatorie agli esami abilitanti per le professioni ordinistiche.
Il contratto è utilizzato per il 60% nell’ambito degli Ita, per il 32% per master di specializzazione e per l’8% per percorsi di laurea. Sono alcune unità per dottorati di ricerca e un solo caso per un percorso ordinistico.
Il monitoraggio Inapp, come ben illustrato dal commento del suo Presidente Natale Forlani, ha anche messo in luce i problemi che frenano ancora la diffusione del contratto di apprendistato e le potenzialità legate alle risorse del Pnrr.
Gli squilibri territoriali sarebbero superati da un impegno di tutte le regioni nel fornire legislazione di sostegno e offerta formativa adeguata. Resterebbero poi i nodi per una reale diffusione del contratto come sostegno a un percorso formativo professionalizzante capace di incidere sul mismatching di competenze che caratterizza il nostro mercato del lavoro. Vi è qui la necessità e l’urgenza di sviluppare una visione strategica complessiva sia per definire il che fare quando vi sarà il calo delle risorse a disposizione e come incidere, oltre alla formazione giovanile, al ricorso all’apprendistato anche per percorsi di ricollocazione degli adulti come previsto dalla legislazione.
Una strategia complessiva di investimento sull’uso del contratto di apprendistato è urgente perché può essere un fattore importante per affrontare i cambiamenti produttivi indotti dalle nuove tecnologie e per superare le transizioni lavorative legate alla crisi di molti settori industriali.
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