Puntualmente Excelsior, rilevazione promossa da Unioncamere sulla previsione di assunzioni nelle imprese italiane, annuncia 1,2 milioni di ingressi programmati fra ottobre e dicembre 2023. Si tratta di un numero elevato di assunzioni previste, anche se in calo dell’1,4% rispetto allo stesso trimestre 2022. Questo calo di previsione è un ulteriore sintomo del rallentamento in atto nel mercato del lavoro: il dato Istat di agosto (+0,3%) ha compensato il calo di luglio (-0,3%), con un risultato, poco commentabile, di saldo medio del bimestre praticamente uguale zero. Guardando meglio la previsione trimestrale, la diminuzione non è omogenea sul territorio: i segni meno sono in Lombardia, Piemonte e Val d’Aosta, nel sud e nelle isole, mentre centro e nord-est mantengono segni positivi.



Per il mese di ottobre la difficoltà di reperimento resta alta, al 51% delle assunzioni previste totali, con picchi di difficile reperimento per gli operai specializzati (66,3%) e professioni tecniche (53%). I Servizi di alloggio e ristorazione e i servizi turistici faranno fronte alle difficoltà prevedendo di assumere un 23,5% di immigrati, trasporti e logistica il 35,3% e i servizi operativi per imprese e persone il 35,4%.



Le competenze e i lavoratori che non si trovano: verrebbe da chiamarla un’emergenza, se non fosse che Excelsior pubblica dati simili da più di 20 anni ormai. Si tratta di un problema non affrontato, sul quale non mancano dati, ma mancano azioni. Certamente si potrebbe chiedere di avere più dati, ma di solito avere più dati e agire sono due cose diverse, scarsamente collegate fra di loro.

Altri rapporti e altri dati pubblicati di recente gettano luce sui meccanismi che portano il Paese all’inazione; li chiameremo meccanismi di compensazione, vale a dire fenomeni che consentono di tirare avanti lo stesso anche senza affrontare i problemi, fenomeni che fanno pagare a qualcuno il costo della mancata soluzione.



Il primo meccanismo di compensazione è la mobilità territoriale. Abbiamo già visto i dati sulle previsione di assunzione degli immigrati: se la popolazione invecchia, prenderemo altre popolazioni che per vari motivi, in particolare perché vivono in condizioni meno favorevoli di quelle italiane, sono disponibili a spostarsi. Fa parte del meccanismo della mobilità anche l’emigrazione dei giovani dal sud del Paese verso il nord. In un rapporto pubblicato da Istat sui giovani del sud il 13 ottobre i numeri sono chiari: i giovani del sud studiano più a lungo, hanno una maggiore propensione all’istruzione universitaria rispetto ai giovani del nord, ma al momento di trovare lavoro, o addirittura prima, migrano verso nord. Le regioni del sud che offrono meno lavoro stabile e posizioni lavorative meno interessanti hanno tassi di occupazione giovanile in calo e vivono un impoverimento demografico accelerato. Sono le regioni che pagano il costo della mobilità territoriale.

Il secondo meccanismo di compensazione è la maggiore mobilità dei lavoratori tra settori e imprese. Se non si trovano lavoratori si dovrebbe scatenare un’aspra concorrenza sulle competenze esistenti che dovrebbero spuntare salari più alti. Effettivamente il report di Istat pubblicato ad agosto sul costo del lavoro individuale evidenzia che frequenti cambiamenti di azienda in alcune professioni contribuiscono a innalzare i salari individuali a tassi superiori a quelli previsti dalla contrattazione collettiva. La mobilità dei lavoratori è in effetti cresciuta dopo la pandemia (altro che grandi dimissioni!), spinta anche dal rimbalzo dell’economia nel suo complesso. Quelli che non hanno competenze pagano con salari più bassi e contratti sempre meno stabili.

Il terzo meccanismo di compensazione è l’inflazione. Istat ha dato i numeri per il 2022 pochi giorni fa: il potere d’acquisto delle famiglie è calato dell’1,6%. L’inflazione decurta i salari reali e consente, ma solo in alcuni settori, di rispondere alla mancanza di competenze con la riduzione del costo del lavoro: si possono assumere più persone perché costano meno. L’economia può crescere poco senza che la domanda di lavoro diminuisca. I settori ad alto valore aggiunto rispondono con innovazione tecnologica, investimenti in impianti e investimenti in formazione. Il mercato del lavoro si polarizza sulle competenze, così come l’economia si polarizza tra settori esposti alla concorrenza e settori non esposti.

Sono comunque le famiglie che pagano. Che l’inflazione possa poi smettere di crescere a breve è questione oggetto di scommesse: le guerre, i gasdotti che esplodono, il ritorno dello Stato che spende forte, il ritorno delle produzioni strategiche dentro confini nazionali o continentali sono fenomeni che spingono su costi e inflazione a dispetto delle banche centrali e dello loro azioni per innalzare i tassi di interesse.

Il quarto meccanismo di compensazione è la crescita del debito pubblico per affrontare la crescente povertà tramite sussidi, stimoli all’economia e interventi di welfare. La storia recente è piena di esempi, inutile rifare la lista. Saranno le generazioni future a pagare questi conti.

Insomma, non investire su educazione, formazione e lavoro, e lasciare che agiscano solo mobilità, inflazione e debito (tre grandi strumenti storici della politica pubblica italiana) aumenta gli squilibri, aumenta l’insoddisfazione delle persone per il loro lavoro e genera costi di sistema sempre più difficili da sostenere. Pensare di non agire perché “comunque ce la siamo sempre cavata” non ha dato finora risultati soddisfacenti.

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