Istat ha pubblicato il 21 giugno i dati riassuntivi del mercato del lavoro assieme a Inps, Inail, Anpal e ministero del Lavoro. I dati di questa pubblicazione riguardano il primo trimestre 2022 e consentono di analizzare alcuni aspetti del mercato del lavoro in uscita dal Covid e nei primi giorni di avvio della guerra in Ucraina.



A volerne fare una sintesi veloce si potrebbe dire: numeri in crescita, ma rallentata; crisi (Covid) quasi recuperata mentre inizia quella dopo (la guerra); nel mercato del lavoro restano gli stessi problemi di prima della crisi, le soluzioni sono in attesa di partire.

Ma guardiamo qualche dettaglio che ci aiuti a capire dove siamo. Sulla base dei dati della Rilevazione sulle forze di lavoro dell’Istat, che include tutte le forme di lavoro autonomo e alle dipendenze, nel primo trimestre 2022 l’occupazione stimata al netto degli effetti stagionali è pari a 22 milioni 948 mila individui, in aumento rispetto sia al trimestre precedente (+120 mila, +0,5%), sia in confronto all’anno prima (+905 mila, +4,1%).



La notizia è pienamente positiva, ma sappiamo già che i dati di aprile segnano un rallentamento; sappiamo anche che l’offerta di posti di lavoro in alcuni settori non viene soddisfatta per mancanza di lavoratori disponibili.

La domanda di lavoro dipendente regolare, riferita all’intera economia nei dati destagionalizzati delle comunicazioni dei datori di lavoro, rileva un nuovo aumento congiunturale delle posizioni lavorative (+183 mila posizioni rispetto al quarto trimestre 2021). Prosegue la crescita delle posizioni a tempo indeterminato (+85 mila in tre mesi) e di quelle a tempo determinato (+98 mila).



Secondo i dati Inps, nel primo trimestre del 2022 il saldo tra le attivazioni e le cessazioni nel corso di un anno è positivo per tutte le classi dimensionali d’impresa. Il maggiore aumento, in termini assoluti, si riscontra nella classe fino a nove dipendenti (+322 mila). Anche questo è positivo, visto che vede le piccole imprese in crescita, segnale questo di un miglioramento della domanda interna. Ma è proprio a questo livello di dimensione che le difficoltà a reperire persone diventano più evidenti. Peraltro, i contratti a termine continuano a crescere di numero, ma a diminuire come durata, mostrando che l’incertezza sulla stabilità della ripresa sta accorciando l’orizzonte di programmazione delle imprese.

Sulla base dei dati delle CO, infatti, nel primo trimestre 2022 il 33,3% delle posizioni lavorative attivate prevede una durata fino a 30 giorni (il 9,2% un solo giorno), il 27,5% da due a sei mesi e l’1,0% superiore all’anno. Nel complesso aumentano i contratti di brevissima durata (19,7% fino a una settimana, +2,9 punti in confronto allo stesso trimestre dell’anno precedente) e si riducono in tutte le altre classi di durata, a eccezione di quelle superiori all’anno che restano stabili.

Nel primo trimestre 2022, il numero dei lavoratori in somministrazione (471 mila unità) presenta una nuova forte crescita tendenziale (+85 mila unità corrispondenti a +22,0% in un anno). Il numero medio delle giornate retribuite mostra una lieve diminuzione tendenziale (22,0 rispetto a 22,3 del primo trimestre 2021).

Ancora alto e totalmente inaccettabile (anche uno solo sarebbe inaccettabile) resta il numero dei morti per infortuni sul lavoro nel primo trimestre 2022 e denunciati all’Inail: sono stati 189 (138 in occasione di lavoro e 51 in itinere), 5 in più (+2,7%) rispetto al primo trimestre del 2021. 

Quindi, i problemi restano: si recupera, ma si rallenta; inflazione, crisi energetica e alimentare conseguenti alla guerra rendono incerto il futuro immediato di un mercato del lavoro che la demografia del Paese sta progressivamente restringendo.

Di fronte a queste difficoltà restano poche le regioni che hanno dato effettivamente il via ai programmi di ricollocazione finanziati dal Pnrr. Sta per iniziare la seconda parte dell’anno e gli obiettivi annuali in termini di persone da aiutare e formare sono ambiziosi e necessari, visti i problemi ancora aperti sul mercato del lavoro.

Lo spostamento delle competenze verso l’informatica e le tecnologie verdi è il presupposto per rendere possibile una transizione verso un’economia più sostenibile, non una conseguenza della transizione e nemmeno un mero obbligo imposto da chi ci mette i soldi. L’investimento in formazione si ripaga da solo, anche con buoni tassi di rendimento. Forse non a livello individuale per tutti, ma sicuramente si ripaga per molti (basta vedere i tassi di disoccupazione più bassi e gli stipendi più alti che premiano chi ha i titoli di studio migliori). 

Certo ci può essere formazione poco efficace, ma l’ignoranza ha un’efficacia negativa indiscutibile.

Chi afferma che i vantaggi della formazione non sono dimostrabili abbia il coraggio di vedere chiaramente le conseguenze della mancanza di formazione: salari bassi, impossibilità dei settori ad alto valore aggiunto di crescere, perdita della capacità di competere a livello internazionale. Le statistiche sui salari italiani che non crescono sono di fronte agli occhi di tutti e dovrebbero bastare a rendere sollecita l’attuazione dei programmi di tutto il Pnrr.

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