Oggi al Meeting di Rimini viene presentata la ricerca di Randstad Research e Fondazione per la Sussidiarietà “Nuovi modelli per il lavoro: cresce la domanda di significato e di sviluppo professionale” in cui sono stati esaminati 5,4 milioni di annunci di lavoro pubblicati online in Italia nel 2019 e nel 2023. Ne abbiamo parlato con il suo curatore Mario Mezzanzanica, Professore di Computer Science and Engineering, Università Milano Bicocca.



Quale è la situazione attuale del mercato del lavoro, cosa è cambiato dopo la pandemia di Covid?

Finito il periodo pandemico non abbiamo assistito, come molti prospettavano, a gravi difficoltà del mercato del lavoro, bensì da metà 2022 a oggi l’occupazione è cresciuta ed è calata la disoccupazione. Il tasso di occupazione ha raggiunto il massimo storico con il 62,3%. Non siamo ancora al livello posto dall’Europa come obiettivo, ma la crescita avuta indica che anche da noi è possibile un incremento della partecipazione attiva di tutta la popolazione in età lavorativa. Permangono però alcune criticità storiche del nostro mercato del lavoro.



Quali?

Sono cresciuti i part time involontari, per un sesto a carico di lavoratori maschi mentre pesano enormemente sulle lavoratrici. Sempre elevata è l’incidenza di occupati sovraistruiti (il 39% dei giovani si trovano in questa situazione nonostante il mismatching formativo denunciato dalle imprese) e anche in questo caso è la componente femminile maggiormente penalizzata. Da ultimo e non meno importante, il peso significativo del diffondersi del lavoro povero, un lavoro che offre un salario non sufficiente per il mantenimento della famiglia: i lavoratori poveri sono l’11% contro una media Ue-27 pari all’8,2%. Si tratta di persone in età lavorativa che lavorano almeno sette mesi l’anno e stanno in famiglie con un reddito che rimane al di sotto del 60% della mediana (definizione Eurostat). Per avere un ordine di grandezza, nel 2022 il valore mediano del reddito in Italia era di 11.155 euro.



In questo contesto dopo la pandemia è esploso il fenomeno delle grandi dimissioni, continua anche oggi?

Abbiamo analizzato le durate contrattuali (data set CICO- Campione Integrato delle Comunicazioni Obbligatorie prodotto dal ministero del Lavoro); dai dati emerge chiaramente la mobilità dei lavoratori: oltre il 70% dei contratti a tempo determinato si chiude nello stesso anno di avviamento per arrivare al secondo anno a valori cumulati superiori al 90%; se il dato di chiusura dei contratti a tempo determinato era abbastanza atteso, certamente meno atteso è che il 48% degli avviamenti a tempo indeterminato entro tre anni dalla attivazione si chiudono e che entro sei anni arrivano a un valore superiore al 60% (dati relativi al periodo 2019-2023). Un fenomeno presente da diversi anni che si è enfatizzato dopo la pandemia ed è divenuto noto come grandi dimissioni e poco dopo, rinominato come grande rimescolamento. Dimissioni cioè non fini a sé stesse ma legate principalmente a cambiare lavoro. Questi eventi hanno accentuato l’incertezza e la volatilità nel mercato del lavoro che vede le persone che cambiano il lavoro e le aziende che faticano a trovare e trattenere lavoratori.

Quali sono le motivazioni che spingono le persone a cambiare lavoro? In altre parole, quali sono gli elementi che sono importanti per le persone per scegliere il luogo di lavoro?

In una recente ricerca, condotta a livello internazionale da Randstad, finalizzata a stimare l’attrattività dei datori di lavoro (employer brand) è emerso che l’equilibrio tra lavoro e vita privata, l’atmosfera di lavoro piacevole e retribuzione & benefits sono i driver considerati importanti da più del 50% dei lavoratori intervistati, con piccole variazioni tra uomini e donne. Interessante come la percezione dell’employer brand cambi in funzione dell’età: sebbene per tutti equilibrio tra lavoro e vita privata sia un driver irrinunciabile, per i lavoratori nella fascia 18-24 anni la visibilità del percorso di carriera è un driver altrettanto irrinunciabile, per la fascia 25-34 anni retribuzione & benefits giocano un ruolo cruciale, tra i 35 e 54 anni lavorare in una atmosfera di lavoro piacevole diviene un fattore di interesse tale da incidere sulla scelta dell’azienda più di altri, mentre nella fascia 55-64 anni la sicurezza del posto di lavoro e la solidità finanziaria si aggiungono ai driver già visti in precedenza come criteri per la scelta del lavoro.

Le aziende come rispondono?

Per verificare se c’è allineamento tra i desiderata ottenuti dalla survey svolta da Randstad, sui circa settemila rispondenti italiani, abbiamo cercato negli annunci di lavoro pubblicati sul web dalle aziende in Italia la presenza di termini che esprimessero gli stessi concetti (driver) e abbiamo osservato l’evoluzione di questi termini tra il 2019 e il 2023 (complessivamente abbiamo analizzato 5,4 milioni di annunci di lavoro nei due anni considerati). I dati confermano un riconoscimento da parte delle imprese riguardo ai driver che guidano il cambiamento e mostrano valori in forte crescita nel quinquennio 2019-2023 su tutti i settori economici osservati. Nel 2023, infatti, circa il 48% degli annunci di lavoro online in Italia esplicita almeno un driver contro il 35% del 2019. I tre driver principali nel 2023 sono: retribuzione e benefit, visibilità del percorso di carriera ed equilibrio tra lavoro e vita privata, in sintonia generale con l’esito di quanto emerso dall’indagine internazionale di Randstad. In particolare, il driver legato alla visibilità del percorso di carriera è un elemento considerato cruciale dai giovani nella survey Randstad e, parimenti, è ritenuto importante dalle imprese che pubblicano annunci online, fattore fondamentale per ingaggiare e mantenere giovani talenti.

Ci sono altri due temi analizzati nella ricerca, quello delle competenze e dell’intelligenza artificiale. Che cosa emerge al riguardo?

Adeguare le proprie competenze attraverso la formazione continua costituirà una costante delle carriere lavorative e rappresenterà uno dei tasselli fondamentali per garantire continuità e sviluppo delle carriere stesse. La domanda di competenze cambia molto rapidamente e pur se le competenze professionali (quelle legate strettamente alla specificità della professione) sono percentualmente quasi sempre prevalenti, ciò che emerge dai dati degli annunci di lavoro delle aziende è l’importanza sempre più marcata delle competenze digitali e soprattutto trasversali (soft o non cognitive skill). Le skill digitali sono più significative, come atteso, per le professioni intellettuali e scientifiche e le professioni tecniche mentre le skill trasversali sono decisamente significative per tutti i gruppi professionali con valori tra il 34% e il 50% per le professioni di alto e medio livello di skill (manager, professioni intellettuali e scientifiche, professioni tecniche); si attestano tra il 24% e il 26% per artigiani e operai specializzati e conduttori di impianti e macchinari per poi salire al 58% per le professioni non qualificate. Inoltre, va osservato che crescono di diversi punti percentuali tra il 2019 e il 2023. La capacità di sviluppare idee creative, pensare analiticamente e in modo proattivo, adattarsi ai cambiamenti, la responsabilità personale, la responsabilità sociale d’impresa, stabilire relazioni collaborative nei team di lavoro, sono tra gli elementi ritenuti fondamentali per la selezione e lo sviluppo dei lavoratori nell’impresa. Queste competenze sono di primaria importanza nella fase di cambiamento introdotta dalla pervasività del digitale e dell’intelligenza artificiale.

Cosa comporterà la crescente applicazione dell’intelligenza artificiale?

L’integrazione dell’intelligenza artificiale nei luoghi di lavoro richiede un cambiamento significativo nelle competenze richieste dalla forza lavoro. Da una parte richiede un processo di alfabetizzazione digitale e competenze tecniche avanzate (programmazione, analisi dei dati e gestione dei sistemi AI), dall’altra, poiché l’AI sostituirà alcuni processi e/o lavori e soprattutto sarà complementare con molte attività lavorative, necessita di personalità in grado di identificare, valutare e valorizzare il contributo dell’AI all’innovazione e sviluppo dell’impresa; in questo senso cresce il bisogno di competenze umane che l’IA non può facilmente replicare (creatività, pensiero critico, intelligenza emotiva, capacità relazionale).

Di fronte a questi cambiamenti cosa significa conciliare vita e lavoro?

L’esperienza forzata del lavoro a distanza vissuta nel periodo pandemico ha fatto comprendere a livello collettivo che un’organizzazione del lavoro diversa era possibile. Per le famiglie con domanda di assistenza, sia per la presenza di bambini o di anziani fragili, ha significato un notevole miglioramento della situazione famigliare. La riduzione dei viaggi ha portato a risparmi di tempo e la libertà di occuparsi di altri interessi. Una nuova domanda di flessibilità del tempo di lavoro è venuta di conseguenza e, per le professioni dov’è possibile, è oggi richiesta da molti la possibilità di ricorrere ad almeno due giornate settimanali di lavoro a distanza. Nello stesso tempo l’isolamento che ha imposto lo smart working ha fatto riscoprire che il lavoro è uno dei tratti più importanti della relazione che abbiamo con la realtà e se si impoverisce questa relazione ne sopportiamo le conseguenze registrando un nostro impoverimento di senso e di significato del nostro stare nel reale. Proprio la natura intrinseca che il lavoro ha, cioè quella di essere il tramite della persona nella relazione che essa ha con la realtà e il suo desiderio di trasformarla, non può avvenire in solitudine altrimenti si perde il senso del proprio agire e prevale una estraniazione, una alienazione che trasforma tutto l’agire in un peso sempre più insopportabile. Andare a fondo di questa domanda di senso, di significato, non lasciarla cadere, è la condizione per affrontare il tema della conciliazione vita e lavoro e le sfide in atto e future. È solo prendendo seriamente i temi di fondo legati al senso, al significato di ciò che facciamo che consentirà di creare nuovi modelli di organizzazione e gestione delle attività lavorative e impostare nuove relazioni lavorative.

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