In una fase di indebolimento del ciclo economico, la domanda di lavoro rimane tonica, ma si avvertono i primi segnali di un’inversione di tendenza. Le imprese ricercano le competenze per affrontare le transizioni digitali e green, ma cresce la difficoltà di reperimento del personale, a cui le imprese stanno reagendo con misure diversificate per attrarre giovani talenti e trattenere i lavoratori con più elevate skills ed esperienza. Sulla carenza di competenza pesano la crisi demografica e un’elevata inattività dei giovani. La transizione demografica lancia nuove sfide per le politiche pubbliche.
A maggio 2024 si registrano 462 mila occupati in più (+2,0%) rispetto a un anno prima, un aumento sostenuto dall’incremento di 498 mila dipendenti permanenti (+3,2%), mentre si registra una diminuzione di 77 mila dipendenti a termine (-2,6%). Una brusca frenata del mercato del lavoro si delinea nelle previsioni di assunzioni di luglio-settembre 2024, che nella rilevazione di Unioncamere-Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali cedono del 10,6% su base annua. Nei primi mesi del 2024 crescono le ore di cassa integrazione, in particolare in alcuni settori della manifattura interessati da una ancora bassa domanda estera.
Si intensifica il mismatch tra domanda e offerta di lavoro. A luglio 2024 il 48,4% delle entrate previste è di difficile reperimento. La carenza di manodopera è un problema diffuso nell’Unione europea: nel primo trimestre del 2024 in Italia l’8,1% delle imprese manifatturiere registra un ostacolo all’attività dalla scarsità di manodopera, quota che sale al 22,8% nella media dell’Unione europea.
Nel rapporto “La ricerca del lavoro perduto”, presentato all’Assemblea di Confartigianato in cui è intervenuta Marina Calderone, Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, si stima un costo del mismatch per le micro e piccole imprese di 13,2 miliardi di euro di minore valore aggiunto causato dall’eccessivo ritardo nell’inserimento in azienda del nuovo personale.
A rischio le transizioni digitale e green – Nel 2023 le imprese prevedono l’entrata di 699 mila lavoratori con una elevata richiesta di competenze digitali avanzate 4.0, e più della metà (51,8%) risulta di difficile reperimento: si tratta di 362 mila lavoratori con competenze per gestire le tecnologie di intelligenza artificiale, cloud computing, Industrial Internet of Things (IoT), data analytics e big data, realtà virtuale e aumentata e blockchain.
Secondo una rilevazione di Eurobarometro, per il 42,9% delle micro, piccole e medie imprese (MPMI) italiane la carenza di competenze impedisce all’impresa di essere più sostenibile per l’ambiente, quota superiore di quattro punti al 38,9% della media Ue. Sempre nel 2023, per due milioni 303 mila entrate previste dalle imprese sono richieste con un elevato grado di importanza competenze green (attitudine al risparmio energetico e alla riduzione dell’impatto sull’ambiente), di cui un milione 108 mila, pari al 48,1%, sono di difficile reperimento. Risulta difficile da reperire un cluster di 497 mila lavoratori essenziali per le twin transitions delle imprese, per cui sono richieste contemporaneamente elevate competenze green e digitali avanzate 4.0, di cui 253 mila (50,9%) sono difficili da trovare sul mercato.
La reazione delle imprese – Oltre due imprese su tre (67,3%) hanno adottato interventi per attrarre e/o trattenere il personale qualificato. Più diffusi gli incrementi salariali, adottati dal 34,1% delle imprese, e la flessibilità negli orari di lavoro, registrata nel 29,2% dei casi. Inoltre, le imprese adottano la concessione di maggiore autonomia sul lavoro nel 20,1% dei casi, l’accesso a benefit aziendali (auto aziendale, agevolazioni nella fruizione di servizi, assicurazioni personali ecc.) nel 14,8% dei casi, il coinvolgimento nelle decisioni aziendali nel 13,1% dei casi, e incentivi per attività di auto-formazione e crescita professionale, anche esterne all’impresa, nel 12,2% dei casi.
Gli effetti della crisi demografica – Sulla mancanza di candidati – che determina i due terzi della carenza di manodopera – si riverbera una profonda crisi demografica, causata da denatalità e invecchiamento della popolazione. L’analisi delle più recenti previsioni demografiche dell’Istat evidenzia che nell’arco degli ultimi dieci anni, tra il 2014 e il 2023, il Paese ha perso circa un milione 350 mila residenti. L’inverno demografico sarà prolungato nel tempo e, con l’uscita dal mercato del lavoro dei nati nel baby boom degli anni Sessanta del secolo scorso (con un picco di un milione e 35 mila nascite nel 1964, sono 379 mila nel 2023), diventerà una vera e propria glaciazione: nell’arco del prossimi venticinque anni (2024-2050) la popolazione in età lavorativa tra 20 e 64 anni scenderà di 6 milioni 841 mila unità, pari a un calo del 19,8%. Si tratta dell’equivalente degli addetti dei settori di manifattura, costruzioni, trasporto e logistica messi insieme, oltre un terzo (37,8%) di tutta l’occupazione delle imprese non agricole (18,2 milioni).
Considerando il totale della popolazione, l’Italia nei cinquant’anni tra il 2030 e il 2080 perderà in media annua 247 mila abitanti: come se al passare di ogni anno sparisse pressoché interamente la popolazione del comune di Venezia (251 mila abitanti).
A fronte del calo demografico e la rarefazione del capitale umano, si registra il “grande spreco” rappresentato da un milione 477 mila giovani inattivi tra 25 e 34 anni (due su tre sono donne) che non si offrono sul mercato del lavoro, pari al 24,0% della rispettiva popolazione, di quasi dieci punti sopra alla media europea del 14,4%. In un caso su quattro (25,7%) i giovani inattivi sono in possesso di un diploma di laurea.
Per mantenere la sostenibilità del sistema di welfare è necessaria una maggiore partecipazione al mercato del lavoro, in particolare per le donne, associata a un’accelerazione della dinamica della produttività che, nello scenario base delineato nelle previsioni dalla Ragioneria Generale dello Stato, è ipotizzata in salita dell’1% all’anno tra il 2020 e il 2040 e dell’1,4% all’anno nel successivo decennio 2040-2050. Per aumentare la creazione di valore per unità di lavoro sono necessari gli investimenti, in capitale fisico e in formazione del personale. La propensione a investire delle imprese è salita dal 16,6% del valore aggiunto del 2013 e al 19,9% del 2022, per poi scendere al 18,7% nel 2023 a seguito della vigorosa stretta monetaria attuata dalla Bce. Nel primo trimestre 2024 gli investimenti delle imprese scendono del 2,7% su base annua.
A fronte di una riduzione dell’offerta di lavoro di giovani maggiormente scolarizzati, diventano strategici gli investimenti in formazione per poter affrontare le trasformazioni derivanti dalla digitalizzazione, accelerata dalla diffusione delle tecnologie di intelligenza artificiale, e dalla riduzione dell’impatto sull’ambiente dei processi produttivi. Secondo la rilevazione di Unioncamere-Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, nel 2023 il 49,6% delle imprese ha effettuato attività di formazione. Tra le imprese che utilizzano corsi di formazione, il 30,3% li realizza nell’ambito della transizione green e sostenibilità ambientale e il 41,6% nell’ambito della digitalizzazione.
Sono alte anche le sfide che la carenza di manodopera pone all’intervento pubblico. Servono sostegni agli investimenti anche dopo il termine dell’attuazione del Pnrr, mentre si dovranno irrobustire le politiche del lavoro, armonizzandole con quelle dell’istruzione, con gli interventi contro la crisi demografica e con una gestione (ordinata) dell’immigrazione, fattore non secondario a fronte di una quota di dipendenti stranieri che nelle imprese è pari al 15,7%, quota che sale al 23,3% per gli operai.
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