I dati dell’indagine Excelsior di Unioncamere e ministero del Lavoro e delle Politiche sociali continuano a segnalare difficoltà nell’assunzione dei lavoratori. Fra marzo e maggio 2024 le entrate previste sono 1.388.250. L’indagine non tiene conto dei contratti previsti con una durata inferiore alle 20 giornate.
Come abbiamo già visto dai dati trimestrali dell’Istat, la crescita riguarda soprattutto il terziario, mentre i datori di lavoro del settore industriale segnalano, almeno per marzo, una previsione in calo dell’1,6%. Quindi, il dato di previsione conferma la tendenza in atto di raffreddamento congiunturale; naturalmente le festività pasquali incidono sulla crescita del mese di marzo, ma la stima complessiva della crescita della domanda del terziario è veramente molto alta; le previsioni di entrata nel turismo rispetto all’anno scorso sono del +16% nel mese di marzo e del +14,3% nel trimestre marzo-maggio. Doppia cifra anche per il commercio previsto in crescita del +14,6% nel mese di marzo e del +17,2% nel trimestre marzo-aprile.
La quota di mismatch (il numero di assunzioni “difficili” sul totale) fa segnare un 47,8%, un dato in ribasso, che risente delle difficoltà dell’industria e del rallentamento dell’edilizia, ma che resta altissimo. Il pensiero va immediatamente alla riduzione demografica della base occupazionale, ma le difficoltà sembrano assolute, più che relative ai giovani, che costituiscono il 31% delle posizioni ricercate. La difficoltà media a reperire un giovane è al 49%, solo un +1,2% rispetto alla media totale.
Rispetto al titolo di studio segnaliamo che la laurea è richiesta per il 15% degli annunci. Brutto indicatore: i laureati in Italia sono circa il 20% della popolazione, pochi, ma a vedere la domanda di marzo, per il 5% non c’è domanda. Sarà per questo che abbiamo i “cervelli in fuga”? Perché dovrebbero prendere un lavoro per diplomati? Non è nemmeno troppo accettabile la lamentela che invece di studiare materie umanistiche e comunicazione dovrebbero darsi all’ingegneria e alla scienza: in tutte le qualifiche i laureati italiani emigrano. Excelsior mette semplicemente nero su bianco il problema.
Da Excelsior non abbiamo notizie sui salari offerti, ma il dato lo abbiamo da altre fonti e non è confortante, il divario tra salari reali italiani ed europei sta crescendo, con i salari reali italiani che restano sempre più bassi e corrosi dall’inflazione.
Come ha recentemente ricordato Istat, c’è circa un milione di persone scoraggiate che non cerca più lavoro e circa 2 milioni e 700 mila persone, più del 90% donne, che hanno problemi familiari di cui occuparsi. Del primo milione si dovrebbero fare carico le politiche attive del lavoro. Dopo anni di riforme e relative controriforme spesso a somma zero (apri l’Anpal, chiudi l’Anpal, chiudi Italia Lavoro, apri Lavoro Italia), tutte volte a migliorare i servizi e a calibrare sussidi, abbiamo effettivamente servizi migliori, che fanno numeri importanti, standardizzati, capaci di fornire il minimo stabilito in gran parte del Paese, ma non capaci di riportare sul mercato quel milione di persone. Non riusciamo a puntare all’obiettivo di allargare la partecipazione al lavoro delle persone.
Il dibattito sui servizi mette teoricamente la persona al centro, almeno nelle premesse, ma al centro dell’azione di riforma ci sono le prestazioni, non i problemi che le persone affrontano, né tantomeno le persone stesse. Abbiamo servizi standard migliori, ma progressivamente staccati dal portatore di problemi. D’altra parte nessun disoccupato vero è mai stato consultato per progettare un servizio per l’impiego: si parte sempre dal presupposto che i partiti e i dirigenti pubblici oppure i loro consulenti sappiano cosa è bene per il “beneficiario finale”, oppure che in qualche altro Paese ci sia un “modello” da copiare, che spesso si copia quando gli altri lo abbandonano.
La giusta attenzione alle richieste dei datori di lavoro, di cui anche Excelsior è uno degli strumenti di consultazione, ha diffuso un pregiudizio positivo nei confronti della selezione basata sulla concorrenza fra lavoratori, ma non ha prodotto un altrettanto efficace miglioramento dei processi di prevenzione dello scarto che questa selezione comporta. E i servizi di welfare fanno parte di quel sistema di prevenzione, assieme ai sistemi educativi e formativi, guarda caso proprio laddove il Terzo settore in Italia mette, sostanzialmente ignorato, il grosso dei suoi sforzi. Possibile che tutto il dibattito politico si sia concentrato sulla redistribuzione? Se sia meglio fare bonus o sussidi a debito oppure, sempre a debito, limare aliquote? Eppure la maggioranza degli italiani la mattina parte dalla stessa domanda: come facciamo a stare meglio io, la mia famiglia, i miei amici? Che vadano a lavorare o che cerchino un lavoro, che si mettano in fila alla mensa della Caritas o che stiano dall’altra parte del bancone a servire, la domanda pratica su cosa sia lo sviluppo veramente ce l’hanno sempre presente. E da sempre hanno dato una risposta: una creatività dal basso, che nasce da un’educazione e diventa concreta attraverso il lavoro.
Vediamo se qualcuno, fra un’elezione e l’altra, se ne ricorda.
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