Il 2 dicembre Istat ha pubblicato i dati sull’andamento del Pil nel terzo trimestre 2024, contemporaneamente a quelli sull’andamento del mercato del lavoro in ottobre.
I due fascicoli sono separati, e di solito vengono commentati separatamente, ma alcune informazioni che servono a capire cosa succede sul mercato del lavoro sono contenute anche nei dati sul Pil.
Guardiamo come vanno i principali settori dell’economia: nel terzo trimestre il valore aggiunto dell’industria è in calo dell’1,7% rispetto all’anno scorso, mentre il valore aggiunto nei servizi è in crescita dello 0,7%. Rispetto all’anno scorso le ore lavorate (che sono la vera misura dell’input di lavoro) sono in calo nell’industria (-0,2%) e in crescita nei servizi (+2,5%).
Da notare che le ore calano meno del valore aggiunto nell’industria, e che aumentano molto di più del valore aggiunto nei servizi. Il fenomeno è lo stesso: riduzione della produttività del lavoro: più persone lavorano, lavorano per più ore, ma a produttività decrescente.
Si tratta di uno degli effetti del calo del costo del lavoro: inutile investire, basta metterci più lavoratori che costano meno.
Infatti, conferma Istat, nell’ultimo anno gli investimenti fissi lordi sono calati dell’1,1% in un anno, del 6,2% se si considerano impianti e macchinari.
La riduzione del cuneo fiscale ha contribuito anche a far crescere i redditi da lavoro dipendente, saliti del 4% nel totale dell’economia e del 4,1% nel settore dei servizi per ogni unità di lavoro (vale a dire per un lavoro equivalente a tempo pieno). Rispetto al trimestre precedente la crescita per il totale economia è risultata pari allo 0,9% per effetto dell’aumento dello 0,8% nell’industria in senso stretto, dell’1,1% nelle costruzioni e dell’1% nei servizi. In calo dello 0,1% i redditi pro-capite del settore primario.
Come conseguenza di questa crescita, il contributo alla crescita del Pil è positivo per i consumi interni e le variazioni delle scorte, negativo per investimenti e domanda estera.
Il quadro complessivo mostra quindi un equilibrio delicato, che oggi si regge sulla possibilità di continuare a spostare quote di debito pubblico da altri impieghi alla riduzione del cuneo fiscale, sperando che le parti di bilancio che vengono di fatto ridotte non generino troppi problemi e rimandando l’attuazione delle promesse marcatamente più elettorali che hanno contraddistinto gli ultimi anni, dalle pensioni alle accise sul carburante, finanziando misure bandiera che potrebbero essere troppo per una manovra dai margini ristretti.
Va riconosciuto che la crescita dell’occupazione che prosegue da ormai dal 2021 (circa 2 milioni di occupati in più) contribuisce a colmare il divario con i tassi di occupazione europei, che restano molto più alti di quelli italiani, ma oggi meno distanti. Il tipo di intervento non contribuisce a ridurre il numero degli inattivi, che resta comunque ancorato a una mancanza di servizi di welfare e a una scarsa appetibilità di una forza lavoro da troppi anni lontana dal mercato.
Il Governo cerca di mantenere la crescita elevata puntando alla riduzione del cuneo fiscale, attraverso la quale far crescere consumi e domanda interna e allo stesso tempo ridurre il costo del lavoro per le imprese. La riduzione del costo del lavoro sta andando a beneficio dei settori ad alta intensità di lavoro, ovvero al settore dei servizi che i dati del Pil confermano in espansione.
Una parte della crescita della domanda e della crescita nel settore dei servizi si scarica sull’inflazione, come confermano i dati della stessa Istat. Nel terzo trimestre 2024, i prezzi alla produzione dei servizi sul mercato business (BtoB) aumentano dell’1,6% su base congiunturale e del 4,4% su base tendenziale (era +2,8% il trimestre precedente).
Insomma, il gioco funziona, ma a scapito della produttività e degli investimenti, e quindi a scapito dei salari futuri e con un rischio sempre presente di spinte inflattive. Il sentiero della crescita del mercato si fa sempre più stretto.
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