Nel secondo trimestre 2024, l’input di lavoro, misurato dalle ore lavorate, è diminuito dello 0,2% rispetto al trimestre precedente ed è aumentato dell’1,6% rispetto al secondo trimestre 2023. Lo comunica Istat che ha pubblicato il report sul mercato del lavoro nel secondo trimestre 2024, integrando informazioni che provengono da più indagini condotte dall’istituto.



Con questa lettura trimestrale Istat consente di capire meglio cosa sta succedendo sul mercato, andando oltre alla lettura, a volte sommaria e trionfalistica, dei dati che riguardano l’offerta di lavoro. I risultati di luglio, con i 24 milioni di occupati, possono essere valutati con maggiore realismo con questo report, che segue lo schema classico di valutazione sulla domanda di lavoro, sull’offerta e sull’andamento dei salari (che nella lettura classica dell’economia sarebbero una conseguenza dell’incontro tra domanda e offerta).



Per misurare la domanda di lavoro Istat fa giustamente ricorso alle ore lavorate nel complesso e alle posizioni lavorative totali (il numero dei contratti), e non al numero di lavoratori, che può anche crescere quando si riducono le ore lavorate procapite. Il dato del secondo trimestre mostra un andamento leggermente negativo in termine di ore lavorate, mentre le posizioni lavorative continuano a crescere. Fatto 100 il 2021, l’indice delle posizioni totali è salito a 110,4, con una differenza notevole fra industria (indice a 104,8) e servizi di mercato (111,4), confermando che questa fase di crescita della domanda è stata trainata dai servizi.



Nel settore dei servizi comunque si trova un impiego molto ampio del tempo parziale e del lavoro intermittente. La quota dei dipendenti a tempo parziale nel secondo trimestre 2024 è al 11,7% nell’industria e al 37,8% nel settore dei servizi, con quote superiori al 50% nei servizi di alloggio e ristorazione, in sanità e assistenza e nella scuola; si tratta di percentuali rilevanti, anche se in leggero calo.

Sono invece in crescita del 4,8% i contratti di lavoro intermittente, con una crescita annuale del 6,7% nei servizi di alloggio e ristorazione e del 6,2% nei trasporti, nella finanza e immobiliare; anche se i contratti sono in crescita, l’intensità di lavoro è in calo rispetto all’anno scorso: 100 contratti intermittenti fanno le ore di lavoro di 24 lavoratori a tempo pieno, con un calo rispetto all’anno scorso dello 0,7%.

Insomma, sembra che si stia realizzando lo slogan “lavorare meno, lavorare tutti”, non come sogno di qualità di vita personale con maggiore tempo libero, magari con la settimana di quattro giorni lavorando in un settore a produttività elevata, ma come incubo di sottoccupazione a stipendi bassi, in settori a produttività bassa e a orario incerto.

I dati sui salari in parte lo confermano: l’indice destagionalizzato del costo del lavoro per Ula mostra un deciso aumento in termini annuali (+4,5%), con la crescita sia delle retribuzioni (+4,7%), sia dei contributi sociali (+4,4%), ma i valori complessivi non sono ancora tali da recuperare il valore d’acquisto dei salari persi con l’inflazione degli ultimi anni.

Riuscirà la prossima manovra finanziaria a ridurre il costo del lavoro rimettendo soldi in tasca ai lavoratori? E sarà sufficiente a risollevare una domanda interna che stenta? Per l’intanto i tassi di transizione dal lavoro a termine verso il tempo indeterminato sono in calo (dal 24% di fine 2024 all’attuale 20%), sono in calo i tassi di riallocazione degli occupati e il tasso di vacancy sul totale delle posizioni, così com’è in calo il ricorso alla somministrazione; tutti segnali, forse deboli, ma chiari, di un mercato che perde slancio.

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