In una nota pubblicata di recente e redatta congiuntamente dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, dalla Banca d’Italia e dall’Agenzia nazionale politiche attive del lavoro viene descritta l’evoluzione dell’occupazione alle dipendenze utilizzando due fonti informative: le Comunicazioni obbligatorie e le Dichiarazioni di immediata disponibilità al lavoro.



La prima base dati è aggiornata al 30 aprile 2022, la seconda al 31 marzo 2022. Si tratta quindi di dati abbastanza aggiornati anche se il contesto di carattere generale rimane incerto per via della guerra in Ucraina e del connesso rialzo dei prezzi dei beni energetici. In ogni caso i dati si riferiscono a un periodo in cui la guerra era già in corso con la relative conseguenze già operanti. 



Ovviamente il futuro prossimo dipende da variabili esogene difficili da prevedere: la durata del conflitto, l’intensità delle sanzioni, gli effetti di ritorno nonché la possibilità di reperire fonti di approvvigionamento alternative in tempo utile e compatibile. Ma è significativo che sia ancora in atto una tendenza di tenuta, di recupero e di rafforzamento qualitativo del mercato del lavoro, che contraddice le versioni propagandistiche diffuse sulla base di percezioni e di esigenze di propaganda. Infatti, la variazione dell’occupazione si è mantenuta positiva, sebbene su livelli lievemente inferiori rispetto alla seconda metà del 2021. Dall’inizio dell’anno – sottolinea la nota – sono stati creati, al netto delle cessazioni, 260mila posti di lavoro, un valore solo di poco inferiore a quello dello stesso periodo del 2019; dal punto di minimo toccato tra il primo e il secondo trimestre del 2020 è stato aggiunto oltre un milione di posizioni lavorative.



 La crescita di posti di lavoro non è omogenea tra settori. Negli ultimi mesi si è ridotto il contributo dell’industria in senso stretto, settore nel quale l’occupazione è ancora inferiore rispetto ai livelli che si sarebbero verificati – precisa la nota – se nel periodo 2020-21 la creazione di posizioni lavorative avesse seguito la traiettoria del biennio precedente. Nel comparto delle costruzioni in marzo e aprile si sono manifestati segnali di rallentamento e i nuovi contratti attivati, al netto delle cessazioni, si sono più che dimezzati rispetto al bimestre precedente. Ha invece accelerato il turismo, che beneficia della ripresa della domanda sospinta dal miglioramento della situazione epidemiologica e dalla rimozione di molte restrizioni. 

Vengono indicate nella nota novità importanti per quanto riguarda la “qualità” dell’occupazione. Rispetto allo scorso anno, quando il recupero dei livelli occupazionali si era concentrato nelle posizioni a termine, nei primi quattro mesi del 2022 la dinamica del mercato del lavoro è stata sostenuta soprattutto dai contratti a tempo indeterminato, che hanno rappresentato circa due terzi delle attivazioni nette. Vi hanno contribuito, oltre alle assunzioni, anche le trasformazioni dal lavoro a termine, il cui incremento è riconducibile prevalentemente all’ampio numero di persone assunte a tempo determinato nel 2021 (le stabilizzazioni in Italia avvengono in media dopo dodici mesi dall’avvio del contratto). La propensione delle imprese a trasformare i rapporti di lavoro temporanei è tornata agli standard precedenti l’inizio della pandemia. 

Questi trend dovrebbero essere tenuti presenti nelle analisi compiute dai sindacati che, di solito, si limitano a osservare la natura dei rapporti di lavoro al momento dell’assunzione, come se non dovesse subire più trasformazioni, dimenticando persino i limiti nell’utilizzazione dei contratti a termine stabiliti nella loro disciplina. Ovviamente è strumentale scambiare i valori di flusso con quelli dello stock. Il numero delle cessazioni si è ormai assestato sui livelli del 2019, sebbene quello dei licenziamenti sia ancora lievemente inferiore ai valori precedenti il blocco imposto dal Governo nel febbraio 2020. Le dimissioni, che in marzo e in aprile sono rimaste sull’elevato livello dei mesi precedenti, riflettono le transizioni di lavoratori tra un’impresa e un’altra, in un contesto di espansione del mercato del lavoro. È questa una considerazione di cui prendere nota per ridimensionare la poetica della Great Resignation e l’attribuzione a questo fenomeno di aspetti sociologici attinenti alla ricerca di altri stili di vita. 

Nel confronto con gli ultimi mesi del 2021, resta sostanzialmente costante la crescita dell’occupazione delle donne; rallenta invece quella degli uomini frenata dall’andamento dell’industria. L’occupazione femminile condivide però in misura inferiore l’aumento del numero delle posizioni a tempo indeterminato, concentrandosi l’occupazione stessa nel settore turistico dove i contratti stabili sono meno frequenti. Per effetto del rallentamento dell’industria, la dinamica del mercato del lavoro è meno favorevole nelle regioni del Centro Nord; nel Mezzogiorno le attivazioni nette continuano a essere sostenute dal turismo e dalle costruzioni, che vi contribuiscono per quattro quinti.

Un focus specifico è dedicato all’occupazione nei settori a maggiore intensità energetica. Nel 2021 si è osservata – come è noto – una graduale e inattesa accelerazione dei prezzi del petrolio e soprattutto del gas; questa tendenza si è intensificata nel 2022 dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. L’impatto del fenomeno sull’occupazione appare al momento contenuto grazie anche ai provvedimenti governativi destinati alle imprese (cosiddette energivore) caratterizzate da un forte consumo di energia elettrica: in particolare, è stato esteso e incentivato il ricorso agli strumenti di integrazione salariale. Nel 2021 le attivazioni nette di posizioni lavorative nei comparti manifatturieri a maggiore intensità energetica hanno continuato a crescere in linea con il resto del settore. Nei primi mesi del 2022 emergerebbero segnali di un lieve rallentamento.

È verosimile ritenere tuttavia – secondo la nota – che i settori energivori, ricorrendo alla Cig, stiano aggiustando l’input di lavoro soprattutto attraverso una contrazione delle ore lavorate, salvaguardando nel contempo i posti di lavoro. Secondo i dati dell’Inps, dall’inizio della pandemia questi comparti assorbivano circa il 15% delle richieste di Cig afferenti alla manifattura; questa quota è salita al 20% nel mese di febbraio superando il 40% in marzo. 

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