Confindustria ha pubblicato i risultati dell’indagine sull’occupazione in un campione di associati nel 2023 e nei primi mesi del 2024. I risultati confermano un aumento dell’occupazione, in particolare femminile, e un uso pronunciato dei contratti di somministrazione. Come nell’indagine Istat, si conferma la crescita del tempo indeterminato sul tempo determinato. Il 96,2% degli occupati è a tempo indeterminato, solo il 5,2% a tempo determinato. Ampio e stabile è il ricorso alla somministrazione di lavoro, alla quale fa ricorso il 72% delle imprese con più di 100 addetti. Da notare che l’1% della forza lavoro è costituita da lavoratori somministrati a tempo indeterminato.
Il turnover in uscita si mantiene alto, al 16,2% della forza lavoro; il turnover in entrata si attesta al 17,8%. Il turnover complessivo ammonta così al 34%. Il tasso di turnover complessivo si attesta al 47% nei servizi e al 25,7% nel settore industriale. La maggior parte del turnover è dovuto alle dimissioni, che costituiscono il 65% delle motivazioni di cessazione.
Il turnover alto si accompagna a una generalizzata difficoltà segnalata dalle imprese a reperire personale con adeguate competenze. Quasi il 70% dei rispondenti segnala difficoltà di reperimento di competenze tecniche e di addetti con mansioni manuali; dal punto di vista delle aree aziendali, la transizione digitale e le funzioni di internazionalizzazione delle imprese appaiono come le maggiormente interessate da fenomeni di scarsità.
Le difficoltà di mercato a reperire competenze sembrano essere l’altra faccia della medaglia del turnover: le difficoltà a reperire le competenze si accompagnano con una propensione alta a lasciare il lavoro per altre posizioni lavorative dove la scarsità gioca a favore dei lavoratori con maggiori competenze.
L’indagine conferma che le politiche aziendali che riguardano il salario e l’organizzazione si sono fatte sempre più articolate. Da una parte, il 32,6% delle imprese utilizza lavoro remoto, un numero quadruplicato rispetto agli anni prima del Covid. Nelle imprese che usano questa modalità, il 34% dei non dirigenti lavora da remoto per due o più giorni la settimana. Ma dal punto di vista salariale a fare la differenza sono i contratti aziendali, adottati da un quarto dei rispondenti, ma con una copertura dei dipendenti coperti che raggiunge quasi i due terzi del campione e il 70% nelle imprese industriali, con un ruolo maggiore delle imprese di grande dimensione.
Fra le materie contrattuali primeggiano i premi di risultato e la loro conversione in welfare aziendale, seguiti dalla regolamentazione degli orari e dall’erogazione di strumenti di welfare.
Nel 2023 l’incidenza dei premi variabili collettivi sulla retribuzione annua complessiva è stata mediamente pari al 4,3% per operai e impiegati e al 3,8%.% tra i quadri. Nell’industria in senso stretto l’incidenza dei premi è mediamente più elevata che nei servizi e risulta particolarmente alta nelle imprese dell’industria oltre i 100 dipendenti: 5,5% per operai e impiegati e 4,5% per i quadri. Si tratta di percentuali elevate, che, sommate agli aumenti contrattuali collettivi, consentono di mantenere e in alcuni casi incrementare il potere d’acquisti reale dei salari.
In definitiva le notizie fornite dall’indagine confermano il ruolo della contrattazione, in un mercato competitivo che lotta per le competenze e che usa al meglio anche gli strumenti di flessibilità contrattuale, come la somministrazione, anche a tempo indeterminato, per stabilizzare le competenze aziendali chiave.
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