Il ministero del Lavoro ha appena pubblicato l’annuale Rapporto annuale sulle Comunicazioni obbligatorie che si propone di delineare le dinamiche nel nostro mercato del lavoro nel triennio 2021-2023.

Prima di monitorare, quindi, lo stato di salute del nostro mondo del lavoro è forse utile ricordare cosa sono le Comunicazioni obbligatorie e come funzionano.



Con il sistema delle Comunicazioni obbligatorie si invia una sola comunicazione ai fini dell’adempimento a tutti gli obblighi prima previsti nei casi di instaurazione, trasformazione, proroga e cessazione del rapporto di lavoro, a vari soggetti, su differenti comunicazioni cartacee. I rapporti da comunicare al sistema non sono, inoltre, solo quelli “standard” di lavoro subordinato, ma tendenzialmente tutti, anche quelli parasubordinati e autonomi.



Ciò premesso il report ci dice che, nel 2023, sono stati attivati oltre 13 milioni 72 mila rapporti di lavoro, in aumento di 445 mila unità rispetto al 2022 (+3,5%). Il tasso di crescita annuo risulta, tuttavia, in calo rispetto al valore significativamente più alto registrato nel 2022, pari a +11,2%. Il 2022, bisogna ricordare, è stato, per molti aspetti un anno particolare dopo il biennio segnato profondamente, anche sul piano socioeconomico, dalla pandemia Covid-19.

Sono, quindi, cessati 12 milioni 224 mila rapporti di lavoro, in aumento dello 0,5% rispetto al 2022. L’incremento annuo è inferiore rispetto all’anno precedente (+14,5%).



La differenza tra attivazioni e cessazioni è, alla fine, risultata pari a 848 mila unità, in crescita rispetto a quella osservata nel 2022, pari a 461 mila unità.

Da notare come gli oltre 13 milioni 72 mila rapporti di lavoro attivati abbiano coinvolto “solo” 7 milioni 384 mila lavoratori (+4,1%), con un numero medio di contratti attivati procapite pari a 1,77 a dimostrazione di una certa dinamicità, sebbene sarebbe opportuno capire in quali settori (ad esempio, quelli fortemente stagionali) e in quali territori.

In questo quadro si sottolinea come le trasformazioni dei rapporti di lavoro da tempo determinato a indeterminato, l’ambito “posto fisso”, sono state 749 mila, in aumento del 4,0% rispetto all’anno precedente.

Di fronte ad alcuni dati certamente positivi permane, ieri come oggi, la necessità per il nostro Paese di continuare a crescere scommettendo sempre più su lavori di qualità e ad alto valore aggiunto.

Solo così sarà, infatti, possibile immaginare uno Stato capace di essere maggiormente inclusivo e sociale in grado di aiutare le, sempre troppe, persone che rimangono, e rimarranno, fuori dal mercato in questi tempi di profonde trasformazioni e transizioni.

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