Negli anni recenti il lavoro è stato investito da trasformazioni intense e più repentine che in passato. Da una parte eventi imprevisti come la pandemia e i conflitti, dall’altra tendenze in atto da tempo che hanno iniziato a evolvere più velocemente, come le transizioni digitale e green, stanno accelerando alcuni sviluppi, mentre il processo di invecchiamento della popolazione sta mostrando il suo inevitabile impatto sul mercato del lavoro. Tali trasformazioni sono spesso analizzate con chiavi di lettura inadeguate, e spesso in Italia il dibattito sul lavoro rischia di seguire percorsi distanti dalla realtà, perché non sempre si parte dall’oggettività dei dati.
Queste ragioni ci hanno portato a lanciare un Report Lavoro Cisl semestrale che possa analizzare i dati di flusso delle assunzioni, ma anche consolidare alcune valutazioni sui dati di stock, senza rincorrere la notizia eclatante. In questo senso i dati dicono che per il terzo anno consecutivo cresce l’occupazione: nel IV trimestre 2023 gli occupati sono aumentati del 2,3% rispetto a un anno fa, e l’aumento riguarda anche l’occupazione femminile, mentre calano i disoccupati e prosegue da metà 2021 la riduzione degli inattivi. A crescere è l’occupazione “buona”, quella a tempo indeterminato, con quasi 500.000 posti fissi in più in un anno e il calo di quelli a termine.
Quest’ultima tipologia infatti continua a mostrare una significativa correlazione con il ciclo economico: così come nella crisi Covid i contratti a termine sono stati i primi a ridursi, in maniera speculare nel 2021, in un contesto di ripresa caratterizzato da elevata incertezza, la crescita è avvenuta soprattutto con contratti a tempo, per poi orientarsi fortemente, nel corso del 2022 e 2023, con una ripresa consolidata, verso contratti stabili.
È vero che i contratti a termine restano il principale canale di accesso al lavoro, ma le aziende ne fanno un utilizzo meno prolungato e li trasformano con maggiore frequenza in contratti stabili, per trattenere le figure strategiche, in una situazione che oramai è divenuta di grave carenza di competenze. Nel IV trimestre 2023, il 59,4% delle nuove assunzioni è stato a termine, mentre quelle con contratto a tempo indeterminato sono state il 21%, ma nel dato di stock le percentuali sono ribaltate, con un’incidenza di occupati stabili sul totale pari al 66,5% (aumentata rispetto al 65,8% dell’anno precedente), e un’incidenza di occupati a tempo che si va riducendo, dal 13,4% del 2021 al 12,8% del 2022 al 12,4% nel 2023.
Tutto fila liscio? Purtroppo no. Nonostante i miglioramenti, l’Italia non soltanto resta molto al di sotto della media Ue-27 per tasso di occupazione, ma è all’ultimo posto a causa del basso tasso di occupazione giovanile e soprattutto femminile, specie nel Mezzogiorno.
Il Report Lavoro prova allora a districarsi in questa fase complessa, non priva di paradossi, aggravata proprio dall’emergenza competenze.
Innanzitutto rileviamo che l’occupazione sta crescendo più del Pil per via del Pnrr, per l’effetto bonus edilizi, perché a correre sono i settori ad alta intensità di manodopera, e non ultimo per l’effetto di labour hoarding che spinge le imprese a mantenere i livelli occupazionali anche in fasi di basso ciclo economico per non trovarsi impreparate in successive fasi di crescita.
L’altro grande paradosso è la compresenza dello skill shortage con elevati livelli di sottoccupazione e inattività femminile e giovanile. Skill shortage che in questa fase gioca a favore spingendo le aziende ad assunzioni stabili, ma che rischia nel tempo di alimentare un bacino di lavoratori disoccupati o sottopagati a causa delle competenze inadeguate e diventare un freno alla crescita economica, da anni già bassa.
Contemporaneamente, si evidenzia un’altra antinomia, tra aziende produttive e innovative che non trovano i profili richiesti e aziende che non offrono adeguate condizioni di lavoro e retributive, motivo per cui donne e giovani spesso rifiutano il lavoro o si dimettono, in cerca di condizioni migliori, condizioni alle quali, però, non sempre possono aspirare concretamente, perché non in possesso delle competenze richieste, in un circolo vizioso da cui non è semplice uscire.
Proprio per non esaurire la spinta positiva di questa fase occorrono allora politiche mirate: accelerare il potenziamento dei servizi per l’impiego, completare le riforme del sistema scolastico e dell’orientamento, introdurre misure per le platee ancora relegate all’inattività, in particolare incentivando accordi sindacali che introducono misure di conciliazione e investendo sui servizi per consentire alle donne di lavorare, non solo nidi ma anche tempo pieno a scuola, centri estivi, accelerazione della legge sulla non autosufficienza. Infine, con un Pil che cresce molto meno degli occupati e che nasconde bassa produttività, l’andamento positivo dell’occupazione non potrà durare all’infinito. Occorre pertanto agire senza indugio con misure di sostegno alla crescita.
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