È stato presentato nei giorni scorsi un importante studio curato da Inapp che si propone di raccontare com’ è cambiato il nostro mercato del lavoro nell’ultimo decennio. Emergono, tra i vari dati, alcuni elementi particolarmente interessanti da analizzare.
Il tempo di ricerca di un’occupazione tra gli inoccupati si è ridotto, significativamente e fortunatamente, tra il 2011 e il 2022, specialmente tra i giovani e gli under 50. Se, ad esempio, i ragazzi tra i 18 e i 29 anni nel 2011 attendevano in media oltre 22 mesi per trovare un lavoro, nel 2022 questi tempi si riducono di due terzi attestandosi a 7 mesi. Una riduzione simile interessa anche i cittadini tra i 30 e i 49 anni, anche se con intensità minori specialmente per la componente maschile (da 30 a 24 mesi per gli uomini e da 44 a 12 mesi per le donne).
Questo segnale di dinamicità del mercato del lavoro si associa anche a un significativo aumento di chi ha un titolo terziario (almeno una laurea) tra la popolazione disoccupata e inoccupata. Nel decennio osservato tra i disoccupati la quota di laureati è, infatti, incrementata di ben quasi 8 punti percentuali (rispettivamente 9,2% e 17%), mentre tra gli inoccupati la quota addirittura più che raddoppia passando dal 12,8% al 27,9%.
Un importante nodo rimane il modo in cui si cerca ancora oggi, e auspicabilmente si trova, lavoro. I canali informali, in particolare le conoscenze, continuano, in questo quadro, a essere la principale porta d’accesso all’occupazione: amici e parenti, autocandidature sono la via attraverso la quale ben il 77% di coloro che erano disoccupati e inattivi nel 2021 ha trovato lavoro nell’arco di un anno. L’informalità incide, inoltre e ovviamente, anche sull’instabilità, e la qualità, dei contratti di lavoro: il 43,5% dei nuovi ingressi nel mondo del lavoro, sempre nello stesso periodo, si concretizza in accordi informali, lavoro intermittente o addirittura nella non conoscenza del contratto (nel 2011 si era al 18,7%), cui si aggiunge un 22,3% (23,8% nel 2011) di occupazioni a tempo determinato. Gli ingressi a tempo indeterminato si attestano sul 30,5% (erano al 26,2% nel 2011).
Si deve, con piacere, sottolineare che i giovani però il lavoro lo cercano soprattutto attraverso i canali formali: tra il 2020 e il 2022 quasi il 14% dei ragazzi tra i 18 e i 29 anni, anche grazie a iniziative come Garanzia Giovani, si è recato presso un Centro per l’impiego (contro l’8,2% dei 30-49enni); una percentuale lievemente inferiore (12,6%) si è rivolta alle agenzie di somministrazione di lavoro (7,7% tra i 30-49enni) e più di 1 su 10 si è interfacciato con società di ricerca e selezione del personale (6,4% per i 30-49enni).
Tuttavia, quando i giovani il lavoro lo trovano, questo non sempre sembra essere in linea con il titolo di studio posseduto: circa il 20% dei 18-29enni (13% riferito agli occupati con 50 anni e più e 17% tra i 30-49enni) si percepisce, infatti, troppo istruito a fronte di un valore medio del 16%. Creare, quindi, lavoro, soprattutto di qualità e ad alto valore aggiunto, è certamente una delle sfide del nostro Paese. L’auspicio è che, tra 10 anni (in tempo magari per essere “registrato” nel prossimo rapporto Inapp), il sistema Paese sia riuscito a valorizzare le molte (troppe) competenze e risorse che, purtroppo, oggi, non lo sono e che, talvolta, vanno, quindi, a cercare gratificazione altrove.
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