Domenica la Chiesa Cattolica “festeggia” la Giornata mondiale dei poveri. In previsione di tale data è stato, quindi, presentato l’annuale rapporto della Caritas sulla povertà e l’esclusione sociale nel nostro Paese.
Emerge così che la povertà assoluta continua a essere su livelli record, e che vari, e multiformi, fenomeni di disagio sociale si affacciano, sempre più, sul panorama italiano. Alcuni di queste questioni sono, purtroppo, di vecchia data ma continuano a colpire in modo particolarmente allarmante. Si pensi, ad esempio, ai problemi legati all’abitazione, un diritto che si ritiene da tempo negato a tante (troppe) persone e famiglie, su più livelli di gravità.
Si sottolineano poi gli ostacoli “istituzionali” e “normativi” che impediscono l’accesso alle misure alternative al carcere o le barriere che limitano la fruizione delle “nuove” misure di reddito minimo, Sfl ed Adi che hanno sostituito il Reddito di cittadinanza, introdotte negli ultimi anni.
Oggi, insomma, in Italia vive in una condizione di povertà assoluta il 9,7% della popolazione, praticamente una persona su dieci. Complessivamente si contano ben 5 milioni e 694 mila poveri assoluti, per un totale di oltre 2 milioni 217 mila famiglie (l’8,4% dei nuclei). Un dato, questo, peraltro, in leggero aumento rispetto al 2022 su base familiare e stabile sul piano individuale, e che risulta ancora il più alto della serie storica, e che non accenna a diminuire.
In questo quadro è un elemento di allarme sociale quello che si coglie anche dagli ultimi dati Istat e che riguarda chi lavora. Continua, infatti, a crescere in modo preoccupante la povertà anche tra coloro che, nonostante tutto, un lavoro magari “povero” ce l’hanno (quelle persone chiamate “working poors“). Complessivamente questo fenomeno interessa ben l’8% degli occupati (era il 7,7% nel 2022) anche se esistono, ovviamente, marcate differenze in base alla categoria di lavoratori. Se si ha, per esempio, una posizione da dirigente, quadro o impiegato questo “rischio” scende al 2,8%, mentre balza al 16,5% (dal 14,7% del 2022) se si svolge un lavoro da operaio o assimilato.
Un dato, quest’ultimo in particolare, che dovrebbe spaventare e sollecitare la Politica e le Parti sociali. Emerge, infatti, un’emblematica debolezza del lavoro che ha smesso, in molti casi, e in particolare per le fasce della popolazione più fragili, di essere un fattore di tutela e di protezione sociale e, per altri aspetti, di emancipazione.
Anche di questo sarebbe opportuno che si discutesse, se necessario anche animatamente, nel dialogo, auspicabilmente costruttivo, tra il Governo, sindacati, associazioni datoriali e, perché no, anche con realtà importanti del Terzo settore come la Caritas.
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