L’Italia non è, come ahimè noto, un Paese per giovani, in particolare se lavorano o se vorrebbero farlo. Lo scorso anno si è, ad esempio, registrato un “boom” di lavoratori anziani in Italia superando la, poco ambita, soglia del 37% dei lavoratori di età compresa tra i 50 e i 64 anni. Erano “solo” il 21% nel 2005 e il 27% nel 2012.
In questo quadro una recente rilevazione Inapp, da cui sono emersi anche i dati sopracitati, e che ha interessato un campione rappresentativo di 2.500 piccole e medie imprese, ha, infatti, riscontrato un invecchiamento generalizzato del personale di queste imprese negli ultimi 5 anni. Tra queste oltre il 28% considera l’aumento dell’età dei loro dipendenti uno “svantaggio”.
Più di un imprenditore su quattro giudica, anche comprensibilmente, tale fenomeno uno svantaggio, che potrebbe compromettere, già nel medio-breve periodo, la capacità di gestire i carichi di lavoro o di impiegare nuove tecnologie, l’adattabilità a nuove mansioni e la disponibilità alla flessibilità di orario.
Ben il 41% delle imprese valuta poi non adeguate le competenze digitali dei lavoratori “maturi” e più della metà ritiene che sarebbe quindi utile svilupparle/aggiornarle ulteriormente.
La stessa indagine evidenzia, inoltre, che tra gli over 50 inattivi, ma in età lavorativa e non ancora pensionati, il principale motivo di abbandono o perdita dell’ultimo impiego è stato l’impegno nell’assistenza ai familiari (31%), in particolare la cura dei figli (27%) e che nella medesima classe di età sono ben il 52% coloro che cercano ininterrottamente lavoro da più di un anno.
Quello lavorativo è, tuttavia, solo uno degli aspetti dell’invecchiamento “attivo” che il nostro Paese deve affrontare.
I dati di vari studi evidenziano, più nel dettaglio, come il 18% degli over 64 (i “quasi” pensionati?) si prende cura dei conviventi, il 13% di familiari o amici con cui non vive, il 4% partecipa ad attività di volontariato.
Emerge poi come la condizione di disabilità interessi il 13% degli anziani e sia più frequente fra le donne e le persone svantaggiate per condizione economica o basso livello di istruzione. Il 15% degli anziani vive poi in situazioni di isolamento sociale, senza incontrare o parlare al telefono con qualcuno, né partecipare ad attività con altre persone nell’arco di un’intera settimana.
Si delinea, insomma, un quadro di estrema complessità nel quale le diverse politiche, e misure, di sostegno all’invecchiamento “attivo” si propongono, ambiziosamente, di tenere tutto assieme dai sistemi di welfare e previdenziali a processi che, ad esempio, agevolino un’ordinata transizione “generazionale” nelle imprese.
Un Paese che invecchia, sempre più a lungo, e, sostanzialmente bene deve insomma, pensare oggi, e avrebbe dovuto farlo già da ieri, alle scelte da mettere in campo senza diventare il “nemico” dei più giovani. La speranza, tuttavia, visto anche i tempi che corrono, è che la soluzione non sia, come in una vecchia canzone romana, quella della guerra dei vecchietti dove, per liberarsene, questi venivano mandati tutti al fronte, cateratte e dolori vari permettendo.
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