Da quando leggo i resoconti degli interventi o le interviste di Maurizio Landini mi sono convinto che il leader della Cgil crede nell’esistenza di un Grande Fratello (non c’entra Mediaset , ma Orwell), il quale ho imposto non solo una neolingua, ma persino statistiche addomesticate per assecondare i potenti e preservare il dominio del profitto e vilipendere il lavoro fino al ripristino di forme di schiavitù.
Di ritorno da Berlino, dove si è svolto il XV Congresso della Ces (il sindacato europeo), Landini, che in quella sede aveva lanciato la proposta di una manifestazione a livello europeo, ha commentato in un’intervista a Repubblica la situazione italiana con parole che mostrano un Paese allo sbando: “Più di 120 mila giovani ogni anno lasciano l’Italia. Oltre 6 milioni di persone sono povere lavorando perché non arrivano a 10 mila euro annui. La sanità – ha continuato Landini – è al collasso e tante persone rinunciano a curarsi o devono pagare per farlo. Crescono le disuguaglianze e il Reddito di cittadinanza viene dimezzato. Per la prima volta in quarant’anni calano i consumi. Abbiamo il record di giovani Neet che non studiano o lavorano. Il tasso di occupazione tra i più bassi d’Europa e il più alto debito pubblico. Crescono solo i profitti e gli extraprofitti. La maggioranza del Paese non si è accorta che l’economia va meglio”.
Che dire? Si vede che non è sufficiente osservare che l’occupazione cresce e che si riduce il ricorso agli ammortizzatori sociali per rendersi conto di un discreto trend dell’economia. E non basta neppure leggere le statistiche perché – come ha insegnato Trilussa – non è sempre detto che le due persone censite abbiano pranzato con mezzo pollo e mezza cipolla a testa; potrebbe anche essere (e in Italia è certamente così) che una persona abbia mangiato, da sola, tutto il pollo e l’altra si sia accontentata dell’intera cipolla, magari dividendola con altrettanti affamati. Eppure occorrerà cominciare a fidarsi dei dati, senza andare sempre “naso” là dove porta il cuore.
Ministero del Lavoro, Banca d’Italia e Anpal hanno pubblicato pochi giorni or sono un rapporto congiunto sugli andamenti occupazionali di marzo e aprile dell’anno in corso, rilevando che la domanda di lavoro – nel settore privato non agricolo – ha continuato ad aumentare a ritmi sostenuti; nei due mesi sono stati creati oltre 100mila posti, al netto delle cessazioni, un valore simile a quello del primo bimestre e superiore sia agli andamenti medi del 2022, sia a quelli del 2019, prima della pandemia di Covid-19. Come nei primi due mesi dell’anno, la domanda di lavoro è stata trainata dai servizi e soprattuto dal turismo, dove sono stati creati poco meno di 40mila posti di lavoro, corrispondenti a circa un terzo del totale. Nell’industria in senso stretto e nelle costruzioni l’occupazione ha continuato a salire a tassi in linea con quelli del bimestre precedente. È proseguita la ripresa dei settori manifatturieri a maggiore intensità energetica, che hanno beneficiato del calo dei prezzi dell’energia. A marzo e aprile la maggioranza dei posti di lavoro creati, circa il 70%, sono stati a tempo indeterminato.
Coerentemente con la marcata espansione dell’occupazione, è proseguita la graduale riduzione del tasso di licenziamento, iniziata a metà del 2022; le dimissioni, dovute soprattutto alle transizioni da un impiego a un altro, sono rimasti su livelli più elevati rispetto al periodo precedente la crisi. Negli ultimi due mesi si è però rafforzato il ricorso al lavoro a termine, il cui saldo è più che raddoppiato nel confronto con il bimestre precedente (circa 35mila posizioni da 15mila). Su questa ripresa ha influito la forte crescita del comparto turistico, in cui i rapporti di lavoro di breve durata sono più diffusi, ma anche la maggiore propensione delle imprese ad attivare nuove posizioni a tempo determinato, dopo che molte di quelle in essere erano state trasformate in permanenti nel 2022.
Il contributo dell’apprendistato è risultato (ahimè!, ndr) sostanzialmente nullo. Secondo il report a più firme, nei primi due mesi del 2023 l’incremento dei tassi di partecipazione (0,3 punti percentuali in più rispetto al bimestre precedente) ha frenato il calo della disoccupazione statistica, rilevata dall’Istat, e di quella amministrativa, misurata dalle Dichiarazioni di immediata disponibilità al lavoro (Did), rimaste sostanzialmente stabili.
Ma come la mettiamo coi Neet? Landini ha detto che un giovane agisce nel giusto se rifiuta uno stipendio da mille euro al mese. Si è guardato bene dall’accertarsi se questa retribuzione oggettivamente modesta sia erogata in modo arbitrario e in violazione di quanto previsto nei contratti, oppure se corrisponda, grosso modo, a quanto previsto dai contratti nazionali di categoria. In ambedue i casi il sindacato non può atteggiarsi da spettatore. Poi chi sono questi Neet? L’Assolombarda ha curato una ricerca sulle caratteristiche del fenomeno in Lombardia. Ed è utile soffermarsi, perché quella regione è una delle locomotive del Paese e ha altresì una maggiore disponibilità di posti di lavoro. I giovani lombardi dovrebbero avere dunque maggiori opportunità.
Nel 2022 erano quasi 966 mila i giovani di età compresa tra 15 e 24 anni residenti in Lombardia e rappresentavano il 9,1% della popolazione complessiva lombarda. Nell’ultimo ventennio il numero di ragazzi in questa fascia di età è cresciuto del 7%, in misura più contenuta rispetto a tutta la popolazione lombarda (dal 2002 al 2022 i residenti lombardi sono cresciuti da 9 milioni a 9,9 milioni, +10%). L’incremento dei giovani è attribuibile interamente alla componente straniera, cresciuta da 38 mila a 119 mila giovani. I 15-24enni con cittadinanza italiana sono diminuiti del 2% dal 2002 al 2022. Se si guarda ai prossimi 20 anni, secondo le ultime previsioni demografiche rilasciate da Istat, i lombardi di età compresa tra 15 e 24 anni scenderanno a 775 mila unità entro il 2042, per effetto della forte denatalità che coinvolge anche la Lombardia, oltre a tutto il territorio nazionale.
La maggior parte di questi giovani è coinvolta in percorsi scolastici: gli studenti sono pari al 62,6%. Se agli studenti sommiamo coloro che non studiano e non cercano un lavoro (76.771 giovani) otteniamo gli inattivi, che complessivamente rappresentano il 70,5% dei 15-24enni. Seguono per numero i 238.200 occupati, pari a circa un quarto dei giovani di questa fascia di età. Risultano invece disoccupati i giovani che sono in cerca di un lavoro ma non studiano (4,1%) oppure quelli che studiano e al tempo stesso sono alla ricerca di un’occupazione (0,8%): complessivamente i disoccupati rappresentano il 4,8% dei 15-24enni.
I Neet ritraggono quella quota di giovani che si collocano tra gli inattivi e i disoccupati, pari al 12% dei 15-24enni lombardi. Per questo motivo, tra di essi vengono distinti i Neet attivi (giovani che non lavorano, non studiano ma sono in cerca di un’occupazione) dai Neet inattivi (giovani che non lavorano, non studiano e non sono in cerca di un’occupazione): in Lombardia, nel 2022, gli attivi corrispondo al 4,1% della popolazione di riferimento, mentre gli inattivi sono quasi il doppio, pari al 7,9%. La Lombardia presenta, tuttavia, un’incidenza inferiore alla media nazionale, pari al 15,9%. Ma il confronto con gli altri motori d’Europa mostra il ritardo del territorio regionale rispetto ai benchmark internazionali.
Se si osserva il dato complessivo, le regioni tedesche presentano valori ben più bassi di quelli della Lombardia. Anche la Cataluña, pur presentando una quota di Neet di 15-24 anni simile a quella lombarda (11,8%), ha una ripartizione tra attivi e inattivi più favorevole rispetto a quella lombarda: 5,8% di Neet attivi rispetto al 4,1% lombardo.
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