Il lavoro di qualità dipende dalla ristrutturazione delle imprese. Lo afferma Istat, con grande impiego di dati, nel suo rapporto 2024, dove l’intero capitolo 2, lungo 44 pagine, è dedicato al mercato del lavoro.

Sono molti gli argomenti trattati, dalla congiuntura al cambiamento demografico, passando attraverso il confronto con gli altri Paesi europei e la sintesi è comunque più lunga dello spazio di un articolo.



Come la demografia ha influito sul mercato del lavoro è noto:

– In 20 anni sono diminuiti di oltre due milioni gli occupati tra i giovani di 15-34 anni e di un milione quelli tra i 35 e i 49 anni, più che compensati dall’aumento di 4 milioni e mezzo di occupati di oltre 50 anni. Il mercato del lavoro invecchia più velocemente della popolazione.



– I giovani sono diventati più precari, gli over 50 più stabili.

– Gli indipendenti calano, i dipendenti crescono, con più part-time involontario.

– Sono cresciuti i servizi, l’industria ha perso 500.000 lavoratori e l’agricoltura 140.000.

Se guardiamo gli ultimi dieci anni, però, osserviamo anche che crescono gli occupati con titoli di studio universitari (+1,2 milioni) e diminuiscono di 330mila unità quelli con un titolo di studio inferiore. C’entra sicuramente lo slittamento demografico (i giovani sono più istruiti delle generazioni precedenti), ma anche il fatto che crescono di più le imprese che assorbono lavoratori più qualificati. Le imprese che hanno dimostrato un maggiore dinamismo (finanza, informatica, manifatturiero fra tutti) hanno investito di più in risorse umane e formazione, hanno assunto più personale con titoli di studio alti e hanno conseguito aumenti della produttività più che proporzionali all’aumento del costo del lavoro. Una dimostrazione evidente che il lavoro non è un costo se lo tratto per quello che è: un investimento ad alto ritorno.



Ma se torniamo ai tempi recenti, vale a dire al confronto tra il 2023 e il 2019, i dati ci dicono chiaramente che l’uscita dal Covid ha polarizzato la crescita e che non tutte le imprese pagano bene il lavoro e investono sul capitale umano.

A livello complessivo è cresciuto il Pil (+4,0% nel 2022 e +0,9% nel 2023) e sono cresciuti gli occupati dell’1,8% in tutti e due gli anni, ma la produttività oraria ha dato un contributo negativo al Pil dello 0,3%.

Il tasso di occupazione tra 15 e 64 anni è arrivato al 61,5% nel 2023, tasso record, più alto del 2,4% rispetto al 2019, ma più basso di 15,9 punti rispetto alla Germania, ma anche rispetto alle più vicine economie di Francia e Spagna (-6,9 e -3,9 punti rispettivamente). Ma mentre cresce l’occupazione, calano i salari. Tra il 2013 e il 2023 il potere d’acquisto delle retribuzioni lorde in Italia è diminuito del 4,5%, mentre nelle altre maggiori economie dell’Ue-27 è cresciuto a tassi compresi tra l’1,1% della Francia e il 5,7% della Germania. Insomma lavoriamo di più per meno soldi. I lavoratori nel settore privato che prendono meno del 60% della paga mediana sono il 30%, 4,4 milioni di persone. E più del 50% dei lavoratori part-time lavorerebbe a tempo pieno se trovasse l’occasione.

Siamo usciti dal Covid più occupati ma più poveri, nonostante l’ondata di sussidi. Che non sia ora di pensare di scegliere cosa incentivare, invece che gettare soldi dall’elicottero? Certo pensare è faticoso, scegliere è difficile e magari l’elettore che non prende il sussidio si arrabbia, ma la caduta demografica chiede scelte, non solo di servizi per la cura familiare, ma anche di sviluppo economico.

Alla fine dei conti fra persone part-time che lavorerebbero a tempo pieno, altre persone formalmente inattive, ma che tornerebbero al lavoro per un salario decente, e over 50 in buona salute che continuano a lavorare, il mercato del lavoro non appare così ristretto. Uno sforzo maggiore sull’educazione e l’innovazione consentirebbero di riprendere quel circolo virtuoso che vede crescere l’occupazione assieme ai salari, migliorando la domanda interna e la produttività. Insomma, un incentivo a investire in innovazione (tecnologica e formativa) potrebbe risollevare da quella spirale sussidio-debito pubblico-inflazione-riduzione dei salari-reali-nuovo sussidio che impedisce al Paese di ridurre la miseria.

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