Anche i grandi Enti pubblici si concedono alcune vaghezze del politicamente corretto. L’Inps insiste nel intitolare “Osservatorio sul precariato” le pubblicazioni periodiche sui flussi del marcato del lavoro. È un modo, forse discutibile, per portare acqua al più grande dei luoghi comuni che caratterizzano il dibattito sul lavoro in Italia: la precarietà dilaga, soprattutto tra i giovani. Sono state rese note nei giorni scorse le statistiche relative a tutto il 2021. E i dati non richiamano la metafora hegeliana della notte in cui tutte le vacche sono nere. I trend presentano una dinamica interessante.
Dopo gli andamenti negativi registrati nei mesi più acuti della pandemia (primavera del 2020 e autunno-inverno 2020-2021), da marzo 2021 il saldo su base annua (vale a dire la differenza tra i flussi di assunzioni e cessazioni negli ultimi dodici mesi individuati tramite la differenza tra le posizioni di lavoro in essere alla fine di ciascun mese osservato rispetto al valore analogo alla medesima data dell’anno precedente) ha segnalato un continuo recupero. A giugno 2021 si registravano 696.000 posizioni di lavoro in più rispetto al giugno 2020; nei mesi successivi tale crescita si è assestata e a dicembre è stata pari al livello di giugno (+692.000), con un saldo positivo in tutte le tipologie contrattuali.
In particolare per il tempo indeterminato la variazione positiva risulta pari a 119.000 unità, mentre per l’insieme delle altre tipologie contrattuali la variazione complessiva è risultata pari a 573.000 unità, con un ruolo rilevante dei rapporti a termine. Confrontando la situazione a dicembre 2021 con dicembre 2019 (i mesi pre-pandemia) si registra un saldo decisamente positivo per i rapporti di lavoro a tempo indeterminato (+385.000 se si sommano i risultati positivi sia per la prima che la seconda annualità considerata); anche per l’insieme delle altre tipologie contrattuali a livello biennale il saldo risulta marcatamente positivo (+283.000) grazie all’ampio recupero delle perdite che erano state registrate nel 2020. Il fatto che, in un tempo più lungo, il numero dei rapporti a tempo indeterminato divenga significativo sul complesso dei rapporti di lavoro costituisce la conferma di un mercato del lavoro che tende a stabilizzarsi. La stessa tendenza trova conferma se si osserva il prevalere dei contratti a termine nei flussi occupazionali, mentre per quanto concerne gli stock la quota di rapporti a tempo determinato rimane nell’ordine del 12-13% del totale.
Le assunzioni attivate dai datori di lavoro privati nel corso del 2021 sono state 7.168.000, con un aumento rispetto allo stesso periodo del 2020 (+25%) dovuto alla marcata crescita osservata a partire da marzo 2021. Essa ha interessato tutte le tipologie contrattuali, risultando più accentuata per le assunzioni stagionali (+40%), per i contratti di apprendistato, di somministrazione e intermittenti (+30%), mentre per le altre tipologie si sono registrati aumenti più contenuti: tempo determinato (+22%) e tempo indeterminato (+15%). Per quanto riguarda le classi dimensionali, la dinamica delle assunzioni è stata più consistente nelle imprese maggiori (oltre 99 dipendenti: +32%; da 16 a 99 dipendenti: +28%), ma ha riguardato anche le piccole (under 15: +18%). Per quanto riguarda le tipologie orarie, l’incremento, confrontando il 2021 con il 2020, le ha interessate tutte, con un aumento più marcato della forma a tempo pieno (+31%). Le trasformazioni da tempo determinato nel 2021 sono risultate 518.000, in leggera flessione rispetto allo stesso periodo del 2020 (-7%). Nello stesso periodo le conferme di rapporti di apprendistato giunti alla conclusione del periodo formativo – pari a 109.000 – risultano essere aumentate del 19% rispetto all’anno precedente.
Le cessazioni fino a dicembre 2021 sono state 6.476.000, in aumento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (+12%). Sostanzialmente stabili le cessazioni dei contratti intermittenti, in aumento tutte le altre tipologie: contratti a tempo determinato (+4%), contratti stagionali (+17%), contratti a tempo indeterminato (+19%), contratti in somministrazione (+26%) e contratti in apprendistato (+27%). Dal 1 luglio 2021 per i comparti industriali con esclusione del tessile-abbigliamento-calzature (Tac) sono cadute le restrizioni ai licenziamenti, attivate originariamente nella primavera del 2020; dal 1 novembre le restrizioni sono rimaste in essere solo per le imprese utilizzatrici di Cig da Covid-19.
Quando si parla di cessazioni non si deve fare confusione con i licenziamenti, come peraltro le assunzioni non sono, per definizione, nuove. Tuttavia, i grandi numeri riportati sia in entrata che in uscita dimostrano quanto sia dinamico il mercato del lavoro, anche nei periodi di crisi e di serie difficoltà come quelle che il Paese ha attraversato.
Per quanto riguarda i licenziamenti si osserva che nel mese di luglio 2021 nell’industria (escluso Tac) il numero di licenziamenti registrati si è significativamente avvicinato al livello del 2019 (da un rapporto, per i mesi precedenti, attorno al 20-30% si è saliti all’80%), ma non l’ha comunque raggiunto e nei successivi mesi non si è verificato un ulteriore avvicinamento. Per il Tac e i Servizi si è registrato un movimento analogo: nel mese successivo alla fine del blocco (novembre) il livello dei licenziamenti si è avvicinato a quello del 2019, ripiegando poi nel mese successivo. A dimostrazione che la “macelleria sociale” temuta dalle organizzazioni sindacali dopo la fine del blocco era frutto della propaganda rivolta a preservare la scorciatoia del divieto (peraltro senza considerare che le norme di blocco hanno finito per incidere negativamente sulle assunzioni).
Il maggior contributo alla crescita, rispetto ai livelli pre-pandemici, è fornito dal settore delle costruzioni (+191.000 posizioni rispetto a dicembre 2019); seguono terziario professionale (+136.000), commercio (+96.000) e fornitura di personale (+95.000). Variazioni negative sono evidenziate per il comparto finanza-assicurazioni (-9.900, a causa della contrazione dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato), per il tessile-abbigliamento-calzature (-7.600), alberghiero-ristorazione (-6.300) e per le attività di intrattenimento e culturali (-6.100): in questi ultimi due comparti il ridimensionamento è dovuto alla contrazione delle posizioni di lavoro a tempo determinato.
Un altro aspetto interessante emerge dal monitoraggio effettuato sulle assunzioni a tempo indeterminato che hanno usufruito degli incentivi previsti dalle diverse leggi a sostegno dell’occupazione. Il quadro complessivo delle agevolazioni ai rapporti di lavoro a tempo indeterminato (incluso l’apprendistato) evidenzia che, considerando tutte le misure e tutte le diverse agevolazioni, sull’insieme di circa 2.068.000 attivazioni (assunzioni e trasformazioni) di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, quelle agevolate risultano 881.000 con un’incidenza pari al 43%. In particolare, i rapporti di lavoro che hanno usufruito dell’esonero triennale per assunzioni e trasformazioni a tempo indeterminato di giovani sono stati 169.503 così suddivise: 100.070 assunzioni e 69.433 trasformazioni a tempo indeterminato. Tale valore è in forte aumento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (+99%).
Ciò è dovuto principalmente all’attivazione dell’esonero totale (entro il limite di 6.000 euro annui) per le assunzioni/trasformazioni a tempo indeterminato effettuate nel 2021, come previsto dall’art.1 della L. 178/2020 per i giovani fino a 36 anni (in precedenza l’esonero era pari al 50% dei contributi dovuti entro un limite annuo di 3.000 euro). Le agevolazioni per l’assunzione di donne, come previsto dalla L. 178 del 2020 che riconosce un esonero totale dei contributi entro il limite di 6.000 euro annui, hanno interessato circa 27.000 rapporti di lavoro (sia per esonero previsto dalla L.92/2012 che quello introdotto dalla L.178/2020). Di particolare rilievo sono risultate le 258.000 attivazioni a tempo indeterminato che hanno beneficiato della decontribuzione per il Sud.
In sostanza, le incentivazioni sono utili per stimolare le assunzioni, specie in certe aree svantaggiate del Paese. Ma sarebbe sbagliato non osservare che le aziende assumono a tempo indeterminato a prescindere dall’utilizzo degli incentivi.
Un ultimo aspetto interessante riguarda, nel corso dell’anno, il processo di riassorbimento della Cassa integrazione: a marzo i lavoratori in Cig (esclusa la Cig straordinaria) risultavano ancora poco meno di 2 milioni con una media mensile pro capite di 75 ore; a dicembre 2021 risultavano pari a circa 420.000 unità con una media di 63 ore mensili pro-capite.
In sostanza, anche sul versante dell’occupazione il 2021 è stato un anno di forte recupero. Purtroppo – a causa degli eventi più recenti, dall’impennata dei costi dell’energia, delle materie prime e dei servizi alla guerra che viene combattuta nel cuore dell’Europa – lo scenario è radicalmente mutato. Auguriamoci di non essere costretti a usare – in un futuro prossimo – i dati del 2021 allo scopo di ricordare, con sconforto e rimpianto, “come eravamo”.
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