Istat ha pubblicato ieri i dati provvisori relativi all’occupazione nel mese di febbraio 2023. Rispetto a gennaio, i numeri degli occupati e degli inattivi sono sostanzialmente stazionari, mentre i disoccupati sono diminuiti.

La stazionarietà dell’occupazione totale è il risultato di movimenti interni interessanti da osservare. Prima di tutto continua a calare lo stock di contratti a tempo determinato e continuano a crescere quelli a tempo indeterminato e di questo abbiamo già detto: il tempo indeterminato cresce perché il mercato si sta restringendo dal punto di vista demografico. I datori di lavoro, con un mercato in restrizione, cercano di stabilizzare le risorse migliori per fermare il nomadismo contrattuale, favorito da un’inflazione che erode i salari e spinge alla ricerca di nuovi datori di lavoro.



Ad allarmare è il dato che vede il calo rispetto al mese scorso dei lavoratori della classe di età fra i 35 e i 49 anni. Come vedremo il problema è visibile anche per i confronti annuali. Siamo stati abituati per decenni a questa classe di età come il meglio della classe lavoratrice del Paese, con un mix ideale di esperienza, di vigore fisico e di iniziativa individuale. Ma anche qui gioca il fattore demografico: si tratta di una classe di età in calo perché sta arrivando l’effetto della riduzione delle nascite degli anni ’80 e ’90.



Rispetto al mese scorso fra gli occupati sono in calo le donne e in crescita gli uomini.

Nonostante si sia fermata la crescita dell’occupazione rispetto al mese scorso, il recupero annuale rispetto allo stesso mese del 2022 è buono. Si tratta di circa 352.000 occupati in più. È una crescita che riguarda tutti: uomini, donne e tutte le classi d’età. A dire il vero non vale per la classe di età 35-49 anni, una classe di età che come abbiamo detto si sta progressivamente sgonfiando. Per effetto della dinamica demografica negativa il tasso di occupazione sale anche in questa classe di età (+0,2 punti), ma solo perché gli occupati calano meno velocemente della popolazione complessiva in quella classe di età. Rispetto a febbraio 2022, diminuisce sia il numero di persone in cerca di lavoro (-4,5%, pari a -94mila unità), sia il numero di inattivi tra i 15 e i 64 anni (-3,1%, pari a -398mila).



Tutto sommato siamo sopra i 23 milioni e 300 mila occupati e con un tasso di occupazione al 60,8%. Sono quasi numeri record, visto che quello che abbiamo passato durante il Covid e vista la policrisi internazionale (guerra, inflazione, clima…). I gap negativi rispetto ai tassi di occupazione medi del resto dell’Europa sono ancora molto alti e ci ricordano i problemi strutturali che affliggono il mercato del lavoro nazionale: skill gap (fatica a trovare le persone con le competenze giuste) e scarsa partecipazione al mercato di una fascia ancora ampia della popolazione.

Che conclusioni tirare? I saldi possono ingannarci. Febbraio non è certo un mese troppo agitato per il mercato del lavoro, visto che il grosso degli avviamenti di solito sono a gennaio e a settembre-ottobre. Tuttavia, la deriva demografica e il gap occupazionale tra uomini e donne continuano a inviare segnali chiari sulla natura dei problemi strutturali.

Di fronte ai dati sulla povertà in crescita, possiamo davvero lasciare che tanti non cerchino lavoro? Possiamo davvero pensare che lo sforzo attuale di politiche attive e formative sia sufficiente? No.

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