“Facce nere, mani callose” sono i versi di un canto dell’orgoglio operaio. O meglio l’orgoglio metalmeccanico, perché l’operaio che è stato simbolo della rivoluzione industriale, poi dello sviluppo tayloristico e quindi del boom economico post-bellico è sempre stato lui, il metalmeccanico.



Oggi si tende a considerare l’attività industriale quasi un’attività residuale, destinata a essere fonte di poca occupazione e a perdere il ruolo economico trainante che ha esercitato per un lungo periodo. Gli effetti della crisi finanziaria prima, poi della pandemia e l’impatto delle trasformazioni tecnologiche stanno portando a profondi cambiamenti e potrebbero avere conseguenze pesanti per l’occupazione e per la qualità del lavoro.



Di fronte a questo quadro, la Fim-Cisl ha presentato la prima edizione del “Cruscotto del lavoro metalmeccanico”. Il documento, che è stato presentato nei giorni scorsi, si propone di offrire un’analisi dei cambiamenti in atto nel settore industriale della meccanica. È un vasto gruppo di imprese che comprende dalla fonderia alle macchine elettroniche. L’obiettivo dichiarato è quello di conoscere meglio i punti di sviluppo e di crisi del settore per poter sviluppare adeguati contenuti nelle piattaforme contrattuali.

Il valore del settore per l’economia italiana è presto detto. Il peso delle esportazioni metalmeccaniche ci rende decimi nella classifica mondiale. Siamo però quarti (dietro alle tre superpotenze Cina, Germania e Usa) per il settore dei macchinari industriali. Sono occupati nella metalmeccanica 2 milioni di persone.



La fotografia che esce dall’analisi è quella di un settore industriale che ha recuperato dopo la crisi finanziaria e ha superato bene la crisi della pandemia. Oggi ha crescita sia del saldo commerciale che come mesi di produzione assicurata. Ha mantenuto l’occupazione complessiva con però spostamenti fra settori. Metallurgia e mezzi di trasporto perdono quasi 40 mila posti. Occupa il 9% di lavoratori stranieri. L’uso della Cig (arrivata a coprire fino a 200mila occupati equivalenti) ha permesso di superare la fase Covid con pochi danni per l’occupazione. Ha un ricorso al lavoro precario inferiore ad altri settori. Sono il 9% i lavoratori a termine e il 6% quelli con contratto da autonomo.

La produttività è cresciuta mediamente dell’1,5% annuo negli ultimi 10 anni e ha permesso, fino al 2021, di assicurare una crescita salariale superiore al tasso di inflazione. L’impegno per affermare l’importanza della formazione continua e della sicurezza e salute sul lavoro hanno dato risultati che, per quanto non siano ancora soddisfacenti, indicano un percorso positivo.

È un settore dove le diseguaglianze interne ai lavoratori ci sono, ma risultano meno pesanti che in altre categorie. Differenze di genere ancora da combattere sono presenti e preoccupa il peggioramento del comparto meccanico in tutto il Mezzogiorno.

Se questo era il quadro “positivo” valido fino al 2021, con l’anno successivo sono emersi i nuovi problemi che caratterizzeranno i prossimi anni. La crisi metalmeccanica risente pesantemente dell’inflazione, della crisi internazionale e del rischio recessione. Le stesse scelte di come recuperare posizioni nel ciclo di produzione dei beni e delle componenti subisce un rallentamento dovuto all’incertezza legata al cambio di passo della globalizzazione. Incomincia a sentirsi in modo significativo l’effetto demografico sull’offerta di lavoro che si somma a un mismatching delle competenze richieste determinando una difficoltà nella crescita di impresa.

È in questo nuovo quadro che vanno sviluppate idee adeguate per difendere e valorizzare il futuro del lavoro nella metalmeccanica.

L’indagine che forma il cruscotto si riferisce a 5 aree di analisi. La prima considera l’andamento economico del settore nel complesso e nelle diverse filiere che lo compongono. Si analizza poi il lavoro per quantità, qualità e intensità. Segue il cluster di variabili che stanno dentro al complesso sistema della contrattazione, un focus sulle relazioni industriali e la valutazione relativa alla dinamica salariale e del reddito. Gli ultimi due blocchi di dati di analisi sono per salute e sicurezza del lavoro e misure riferite all’equità, di genere, intragenerazionale e territoriale.

L’analisi presentata tiene pertanto conto dei dati economici di fondo, ma accetta la sfida della complessità e quindi è stata impostata per assicurare un’analisi che vada oltre la semplice valutazione basata sul Prodotto interno lordo. Un’analisi “oltre il Pil” diventa indispensabile se si vuole stare dentro ai processi della complessità mettendosi in grado di esercitare un ruolo propulsivo nei processi di sostenibilità economica, sociale e ambientale. Partecipare al governo dello sviluppo del settore salvaguardando e valorizzando l’apporto del fattore lavoro richiede una capacità di analisi o dei processi in corso e la capacità di sviluppare proposte concrete.

La presentazione del cruscotto avviene in un periodo di particolare silenzio del fronte delle organizzazioni sindacali di fronte alle difficoltà economiche. Si è arrivati a momenti di mobilitazione con divisioni fra le principali organizzazioni e a scioperi di categoria con bassissime adesioni.

Il momento di riflessione proposto dai metalmeccanici Cisl ha il pregio di mandare un forte segnale a tutto il movimento sindacale. Non servono piattaforme ideologiche per difendere la qualità del lavoro. Serve un impegno di analisi, un lavoro di scavo della realtà, la disponibilità a rimettere in discussione vecchie certezze. È una fatica che però porta a ritrovare l’entusiasmo e l’orgoglio per portare una categoria intera a esercitare un ruolo trainante per uno sviluppo socialmente equo e solidale.

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