È indispensabile intervenire con misure volte ad accrescere il reddito disponibile delle famiglie, partendo dalla riduzione delle imposte sui premi di produttività, dall’innalzamento ulteriore della soglia di esenzione dei cosiddetti fringe benefit, dal potenziamento del welfare aziendale, riuscire ad allargare la platea dei beni primari che godono dell’Iva ridotta al 5%. Misure concrete che affronteremo anche con la prossima legge di bilancio, sulla quale siamo già al lavoro”. Così parlò Giorgia Meloni nelle comunicazioni sulla fiducia a proposito del trattamento fiscale della contrattazione collettiva generalmente di secondo livello. Pur nella loro sintesi si tratta di affermazioni importanti perché affrontano la questione dell’incremento della produttività attraverso strumenti negoziali che possono favorirla nel contesto di uno scambio tra impresa e lavoratori.
Nella passata legislatura i Governi non avevano prestato particolare attenzione allo sviluppo della contrattazione di prossimità. Il Conte 1 aveva, anzi, previsto la possibilità di distogliere risorse a questa tipologia contrattuale per destinarle alle pensioni. La legge di bilancio 2019 aveva previsto alcune modalità per incrementare (tramite il riscatto) la posizione contributiva nel sistema pubblico. Le risorse per l’implementazione – d’intesa con il dipendente – potevano essere sostenute dal datore di lavoro, mettendole a carico dei premi di produzione dovuti. La relativa norma (comma 4 dell’articolo 20) recitava, infatti, che «per i lavoratori del settore privato l’onere per il riscatto può essere sostenuto dal datore di lavoro dell’assicurato destinando, a tal fine, i premi di produzione spettanti al lavoratore stesso». In tal caso, l’onere era deducibile dal reddito di impresa e da lavoro autonomo e, ai fini della determinazione dei redditi da lavoro dipendente, rientrava nell’ipotesi prevista per i contributi previdenziali e assistenziali versati dal datore di lavoro o dal lavoratore in ottemperanza a disposizioni di legge nonché per i contributi di assistenza sanitaria versati dal datore di lavoro o dal lavoratore a enti o casse aventi esclusivamente fine assistenziale in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale. In sostanza, non solo la contrattazione della produttività e del welfare aziendale non faceva più parte delle priorità del Governo Conte 1, ma le risorse a essa destinate al pari di quelle che avrebbero potuto alimentare il secondo pilastro (ove non fosse già istituito in forma bilaterale) venivano sacrificate sull’altare della pensione pubblica.
Anche i Governi successivi (Conte 2 e Draghi) si erano maggiormente concentrati, su impulso dei sindacati, in particolare della Cgil, sulla valorizzazione del contratto nazionale di categoria, per cui si studiavano le modalità, in parallelo con il dibattito sull’introduzione di un salario minimo legale, per una applicazione erga omnes dei Ccnl sottoscritti dalle organizzazioni più rappresentative. In sostanza, il contratto nazionale era rimasto il pilastro della contrattazione collettiva e del sistema delle relazioni industriali. Al di là degli orientamenti di politica contrattuale e salariale, come funziona l’esperienza della contrattazione della produttività e della qualità del lavoro?
Il ministero del Lavoro ha reso disponibile la procedura per il deposito telematico, ai fini delle agevolazioni fiscali, dei contratti aziendali e territoriali. Secondo il report del 17 ottobre 2022, fino a quella data erano stati depositati 77.209 contratti. Alla data del 17 ottobre 2022, 12.551 depositi di conformità si riferiscono a contratti tuttora attivi; di questi, 10.871 sono riferiti a contratti aziendali e 1.680 a contratti territoriali. Degli 12.551 contratti attivi, 9.927 si propongono di raggiungere obiettivi di produttività, 7.687 di redditività, 6.397 di qualità, mentre 1.503 prevedono un piano di partecipazione e 7.540 prevedono misure di welfare aziendale.
Prendendo in considerazione la distribuzione geografica, per Itl (Ispettorato territoriale del lavoro) competente, delle aziende che hanno depositato i 77.209 contratti ritroviamo che il 75% è concentrato al Nord, il 17% al Centro, l’8% al Sud. Un’analisi per settore di attività economica evidenzia come il 60% dei contratti depositati si riferisca ai Servizi, il 39% all’Industria e l’1% all’Agricoltura. Se invece ci si sofferma sulla dimensione aziendale otteniamo che il 50% ha un numero di dipendenti inferiore a 50, il 35% ha un numero di dipendenti maggiore uguale di 100 e il 15% ha un numero di dipendenti compreso fra 50 e 99.
Per gli 12.551 depositi che si riferiscono a contratti tuttora attivi la distribuzione geografica, per Itl competente, è la seguente 73% Nord, 18% Centro, 9% al Sud. Per settore di attività economica abbiamo 58% Servizi, 41% Industria, 1% Agricoltura. Per dimensione aziendale otteniamo 45% con numero di dipendenti inferiore a 50, 39% con numero di dipendenti maggiore uguale di 100, 16% con numero di dipendenti compreso fra 50 e 99.
Analizzando i depositi che si riferiscono a contratti tuttora attivi abbiamo che il numero di lavoratori beneficiari indicato è pari a 3.658.457, di cui 2.766.239 riferiti a contratti aziendali e 892.218 a contratti territoriali. Il valore annuo medio del premio risulta pari a 1.495,21 euro, di cui 1.648,49 euro riferiti a contratti aziendali e 736,34 euro a contratti territoriali.
A norma di legge è possibile indicare all’atto del deposito telematico dei contratti aziendali la decontribuzione per le misure di conciliazione dei tempi di vita e lavoro dei dipendenti. Alla data del 17 pttobre 2022 sono stati depositati 5.478 contratti di cui 3.675 corrispondenti a depositi validi anche ai fini della detassazione e 1.803 corrispondenti a depositi validi solo ai fini della decontribuzione.1.157 depositi si riferiscono a contratti tuttora “attivi”, di cui 687 corrispondenti a depositi validi anche ai fini della detassazione e 470 corrispondenti a depositi validi solo ai fini della decontribuzione.
Quanto all’incentivo fiscale con procedura automatica introdotto, nella forma di credito d’imposta utilizzabile esclusivamente in compensazione, per talune spese di formazione del personale dipendente nel settore delle tecnologie previste dal “Piano Nazionale Industria 4.0”, alla data del 17 ottobre 2022 sono stati depositati 4.374 contratti.
Prendendo in considerazione la distribuzione geografica, per Itl competente, delle aziende che hanno depositato i 4.374 contratti, la percentuale maggiore, pari al 39% è concentrata al Nord, il 27% al Centro, il 34% al Sud, dove emergono i dati della Campania che presenta il numero maggiore di contratti depositati su tutto il territorio nazionale. Relativamente al settore di attività economica, il maggior numero dei contratti depositati riguarda aziende operanti nel settore Servizi 61%, a seguire Industria 38% e Agricoltura con l’1%.
Il report affronta, poi, la questione della contrattazione di prossimità. Si tratta di Contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale, ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda, che possono realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali.
Le intese possono riguardare la regolazione di specifiche materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione, con riferimento a: a) impianti audiovisivi e introduzione di nuove tecnologie; b) mansioni del lavoratore, classificazione e inquadramento del personale; c) contratti a termine, contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, regime della solidarietà negli appalti e casi di ricorso alla somministrazione di lavoro; d) disciplina dell’orario di lavoro; e) modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite Iva, trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio, il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonché fino a un anno di età del bambino, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di adozione o affidamento. Lo strumento offre alle imprese la possibilità di derogare entro certi limiti alle disposizioni di legge e di contratto collettivo per adeguarle alle condizioni e alle esigenze di organizzazione del lavoro di ciascuna azienda, fermo restando il rispetto della Costituzione, della normativa comunitaria e delle Convenzioni internazionali.
Alla data del 17 ottobre 2022 sono stati depositati 1.697 contratti di prossimità. Prendendo in considerazione la distribuzione geografica, per Itl competente, delle aziende che hanno depositato i 1.697 contratti, questa risulta essere pari al 39% concentrata al Nord, il 16% al Centro, il 45% al Sud. Al Nord solo la Lombardia e il Veneto superano il centinaio di contratti depositati. Al Sud rileva il dato della Campania 225 e della Puglia 191. Al Centro rileva il dato del Lazio 143. Riguardo al settore di attività economica, il maggior numero dei contratti depositati riguarda aziende operanti nel settore Servizi (65%), a seguire Industria (34%) e Agricoltura (1%).
Si tratta di contratti stipulati in applicazione dell’art. 8 D.L.138/2011, convertito in L.148/2011: una misura che ha una lunga storia. La norma fu adottata su iniziativa del ministro Maurizio Sacconi nella XVI legislatura (anche in seguito alla conclusione dell’accordo nello stabilimento ex Fiat di Pomigliano d’Arco), ma venne subito contrastata dai sindacati che riuscirono a stipulare un’intesa per la mancata applicazione con la Confindustria (ciò provocò la decisione della Fiat/Fca di uscire da Federmeccanica e da Confindustria e di non applicare più il Ccnl dei metalmeccanici). L’articolo 8, oltre a finalità derogatorie dalle norme di legge e contrattuali, stabiliva una procedura che poteva consentire – come nel caso di Pomigliano – l’applicazione a tutti i dipendenti di un’unità produttiva anche in presenza di un accordo separato (come era avvenuto in quel caso con la mancata sottoscrizione da parte della Fiom) purché approvato sulla base di un criterio maggioritario relativo alle rappresentanze sindacali.
Ricordiamo che la Confindustria e le confederazioni sindacali raggiunsero una prima intesa il 28 giugno 2011, che poi fu confermata a settembre, «la comune volontà di dare applicazione all’Accordo Interconfederale del 28 giugno e manifestato l’impegno a far sì che le rispettive strutture, a tutti i livelli, si attengano a quanto ivi concordato che le materie delle relazioni industriali e della contrattazione sono affidate all’autonoma determinazione delle parti». Si disse allora che quella firma, in questo modo, ‘”neutralizzava” di fatto gli effetti dell’articolo 8 della manovra economica varata dal Governo con cui si prevedeva la possibilità di deroghe nei contratti aziendali rispetto al contratto nazionale.
Nonostante la firma definitiva dell’accordo del 28 giugno la Cgil volle comunque andare avanti per arrivare alla cancellazione dell’articolo 8 della manovra che consente le deroghe dei contratti aziendali e territoriali ai contratti nazionali e alle leggi in materia di lavoro: «Le iniziative giuridico-legali non sono affatto concluse», assicurò il leader della confederazione Susanna Camusso. «La settimana prossima convocheremo il direttivo e decideremo come fare la consultazione. La cancellazione dell’articolo 8 è un obiettivo fondamentale. L’ipotesi su cui ci stiamo muovendo è quella del ricorso alla Corte Costituzionale».
I dati dimostrano che, nonostante la fatwa delle parti sociali, in diversi casi quella norma è stata applicata e i relativi contratti sono stati depositati. In particolare, questa disposizione venne usata per derogare alle condizionalità poste dal c.d. dDcreto dignità per il rinnovo dei contratti a termine. I sindacati si accorsero che quei vincoli, più che a promuovere le trasformazioni a tempo indeterminato, costringevano le aziende a procedere all’assunzione a termine di altri lavoratori, non potendo rinnovare, a causa delle condizionalità previste, i precedenti rapporti alla loro scadenza, dopo 12 mesi.
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