Gol, ovvero Garanzia occupazionale lavoratori, è uno dei programmi del Pnrr che riguarda il mercato del lavoro e la formazione. Il ministero del Lavoro e Inapp (Istituto per l’analisi delle politiche pubbliche) diffondono regolarmente dati sul suo andamento. Si tratta di report di monitoraggio, che non hanno scopi e metodologie di natura valutativa, ma che consentono comunque a chi li legge di capire come stanno andando le cose.
I dati pubblicati a luglio e relativi alle azioni svolte fino al 30 giugno 2024 sono comunque interessanti per un programma avviato di fatto nel 2022 e che ha a disposizione 5,4 miliardi di euro, la somma più grande mai dedicata a uno sforzo del genere. Il programma ha delle caratteristiche interessanti per la sua architettura: è basato sui Livelli essenziali di prestazione (Lep), vale a dire su servizi minimi definiti in termini di prestazioni e di costo in maniera uguale su tutto il territorio nazionale, come dovrebbero essere i servizi definiti dalla riforma federalista dello Stato. Inoltre, tutti gli utenti vengono intervistati all’ingresso del programma e inseriti in percorsi che dipendono dal loro grado di occupabilità attraverso algoritmi quantitativi e valutazioni qualitative, ma che alla fine si traducono in punteggi: i più difficili da inserire al lavoro ricevono più risorse e possono seguire programmi più lunghi. Alle Regioni resta l’organizzazione delle reti territoriali dei servizi pubblici e privati accreditati che forniscono assistenza.
Chi ha paura che i Lep rafforzino l’autonomia può dormire sonni tranquilli: Gol è un programma centralizzato, senza sostanziali differenze territoriali, con maggiori risorse al Sud. Nessuna vera autonomia è collegata ai Lep e le Regioni non hanno mai avuto vincoli così alti su lavoro e formazione, materie di loro competenza, prima del programma.
In due anni gli individui coinvolti sono più di 2,5 milioni, la metà circa classificati come vicini al mercato del lavoro e bisognosi di poco supporto. I lavoratori con percorsi molto lunghi, difficili da collocare e con problemi di inclusione sono il 3,5%, gli altri sono classificati in percorsi intermedi che servono ad aggiornare le competenze o a guadagnare nuove qualifiche professionali.
L’85% delle persone coinvolte ha caratteristiche di vulnerabilità, dove però, in una semplificazione eccessiva del reale, le caratteristiche sono: essere donna, avere meno di 30 o più di 55 anni, essere disoccupato da più di 12 mesi, essere disabile. A parte quindi gli uomini fra i 30 e i 55 anni, tutta la popolazione è debole. Un buon modo per presentare il programma come una grande azione di giustizia, ma anche un modo per descrivere il Paese come fatto prevalentemente da deboli. In realtà, il programma viene usato come leva per fare quello che il servizio pubblico dovrebbe fare ma raramente fa per davvero: cercare i beneficiari di sussidi e costringerli a cercare un lavoro attivamente. Se prendi un sussidio e non aderisci al programma te lo togliamo, il cosiddetto principio di condizionalità che riempie il programma di lavoratori che aderiscono per levarsi di torno la scocciatura di essere convocati a ripetizione dal centro per l’impiego vicino a casa per attività che vengono spesso percepite come rituali e astratte (Lep, Did e altra modulistica).
Se si va a vedere cosa fanno effettivamente le persone che aderiscono al programma si nota che il 48% ha usato almeno un servizio dopo il colloquio iniziale di adesione, o meglio che il 52% delle persone ha fatto solo il colloquio iniziale e null’altro. Come valutereste un ristorante dove il 52% delle persone che entrano non si siedono al tavolo a mangiare ma scappano fuori e non si fanno più vedere?
Gli autori sottolineano che il rapporto è migliorato nel tempo e che ora il 60% dei clienti si ferma per gli altri servizi, e che i tempi fra colloquio iniziale e inizio delle attività effettive si stanno riducendo. Ma qui ci mette lo zampino la differenza territoriale vera: i mercati del lavoro sono diversi e hanno capacità e velocità di assorbimento diversi. Se i lavoratori vanno a lavorare da soli e smettono di frequentare il programma, riempirli di impegni fa spendere soldi, ma non cambia la loro condizione.
Il rapporto mostra gli inserimenti lavorativi dopo l’inizio del programma, con percentuali elevate di occupazione, in media al 39,2% e con una distribuzione territoriale che ricalca quello che sappiamo dei mercati del lavoro regionali del Paese. Naturalmente gli autori non collegano gli esiti occupazionali alle azioni del programma, né intendono stabilire una relazione di causa effetto fra presa in carico e nuova occupazione, ma siamo sicuri che commentatori e politici, in mancanza di altri metodi di valutazione, faranno loro il salto, attribuendo a Gol gli avviamenti contati in tabella.
Insomma, Gol è un programma ampio e ben documentato, abbiamo il tempo e i dati per farci sopra una vera valutazione dell’impatto, e forse per scrivere programmi che mettono più soldi sui target veramente più deboli, vedremo se la classe dirigente del Paese avrà l’onestà intellettuale di fare una valutazione del genere.
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