La Città Metropolitana di Milano ha una lunga tradizione nella presentazione di ricerche annuali dedicate al mercato del lavoro. Per molti anni il rapporto ha presentato elaborazioni sull’evoluzione dell’offerta di lavoro e sui settori produttivi che attraevano più lavoratori. Si è poi lavorato per analisi territoriali più raffinate. Con l’elaborazione dei dati amministrativi forniti dalle Comunicazioni obbligatorie si sono analizzati i dati per bacini territoriali. La mappatura dei movimenti delle persone dovute al luogo di lavoro è una lettura delle dinamiche economiche utile per le amministrazioni locali per politiche sociali ma anche per le scelte di sviluppo del territorio.
Quest’anno l’elaborazione presentata ha introdotto una sensibile innovazione. Il focus centrale del rapporto ha messo a fuoco la domanda di lavoro, ossia si è concentrata a illuminare sul totale delle imprese presenti sul territorio quelle che hanno creato occupazione.
Anche il lavoro di quest’anno parte, per il lato lavoro, dai dati delle Cob. Questi dati sono poi incrociati con i dati delle imprese registrate alla Camcom e con i dati degli operatori non economici che fanno però avviamenti al lavoro.
Il dato milanese riferito alla famiglia, intesa come datore di lavoro, è certamente significativo. La famiglia rappresenta ben il 34% dei datori di lavoro che nel corso degli ultimi 5 anni hanno fatto un avviamento al lavoro. Ovviamente il peso sul totale degli avviati si ferma a rappresentare il 3%, ma è indicativo di come il settore dei servizi alle famiglie sta progressivamente diventando una parte significativa dei nuovi lavori e sta uscendo dalla zona grigia del mercato.
Per svolgere però l’analisi di chi ha prodotto avviamenti al lavoro per motivi economici entro la fase di congiuntura negativa di quest’ultimo periodo non si è tenuto conto delle famiglie, né di tutti quei settori che dipendendo da decisioni di spesa pubblica, a partire dalla Pa allargata, pianificano le assunzioni senza rapporto con l’andamento corrente dell’economia.
Tralasciando qui le tecnicalità seguite per le analisi, il campione di imprese che diviene il nocciolo duro delle elaborazioni è di 22.084 unità. Sono il 10% del totale di imprese presenti sul territorio (depurate da quelle che operano scelte al di fuori della logica economica), ma hanno rappresentato con continuità quasi il 70% degli avviamenti al lavoro effettuati nel quinquennio.
Già da questo dato aggregato si può estrarre un giudizio che limita le tesi prevalenti fino a qualche anno fa. A trainare l’occupazione è un nucleo di grandi e medie imprese, mentre le Pmi hanno un ruolo di mantenimento più che di espansione (le imprese sotto i 15 addetti rappresentano circa il 55% dei movimenti sul mercato del lavoro, “piccolo è bello” ma cum grano salis).
L’analisi però più interessante è la scomposizione del campione fra imprese grandi e piccole e secondo il ricorso a contratti di lavoro stabili-instabili.
Ne escono quattro quadranti che vedono:
– imprese grandi che privilegiano contratti stabili (sono prevalentemente spa fino a 100 addetti, in finanza, manifatture e terziario professionale con contratti a tempo indeterminato o di somministrazione).
– imprese piccole con contratti stabili 8 (srl fino a 14 addetti, immobiliare, costruzioni e commercio, con contratti di apprendistato e tirocinio).
– imprese di grande dimensione con contratti instabili (soprattutto cooperative da 100 a 300 addetti, settori vari soprattutto lavori in conto terzi, con contratti intermittenti e di somministrazione).
– imprese piccole con contratti instabili (ditte individuali, Sas e Snc, fino a 14 addetti, servizi alla persona, di alloggio e ristorazione, supporto alle imprese, con contratti intermittenti e a tempo determinato).
In termini numerici i quadranti sono pressoché equivalenti per numero di imprese, solo il gruppo piccole e instabile sono un po’ più del 25% a scapito delle grandi e instabile che sono il 19,3%. In termini di lavoratori avviati si presenta la forte polarizzazione che emerge da questa analisi. I gruppi più numerosi sono nel vertice delle grandi imprese con contratti stabili (35mila avviati anno in media) e 181mila lavoratori avviati. A questi ultimi, numero di teste medio annuo avviato, corrisponde un numero di avviamenti, quindi di comunicazioni pari a 330mila. Per quanto riguarda gli avviati con contratti stabili sono poco meno del numero degli avviamenti segnalati.
I movimenti dei due segmenti delle piccole imprese rappresentano il 10% del totale e sono pressoché uguali i numeri dei lavoratori coinvolti e degli avviamenti.
Questo primo lavoro sviluppato quest’anno merita di essere proseguito nel tempo perché alcuni dati offrono spunti importanti per approfondire l’analisi. Fra i piccoli emerge per esempio un nucleo, prevalentemente artigiano, che può rivalutare il piccolo è bello. Soprattutto pare saldare una buona capacità di creare lavoro stabile con quella di innovazione che è determinante nel fare da supporto alla crescita della città innovativa.
La sottolineatura tra i due estremi del mercato, imprese ad alto valore aggiunto con dati tutti positivi e grandi imprese con tanto lavoro instabile, non può rimanere una visione statica. Vale la pena capire la composizione dei cosiddetti lavori instabili. Nella società degli eventi e con un polo fieristico fra i più importanti al mondo vi sono certamente migliaia di persone che hanno vari avviamenti lavorativi all’anno. Quanti di questi siano però realmente lavori poveri caratterizzati da precarietà non emerge dai dati aggregati di questa prima elaborazione.
Sono tracce importanti per il proseguo del lavoro nel tempo. Milano è la piazza del lavoro più avanzata del nostro Paese e comprendere come si genererà il lavoro nei prossimi anni è determinante per preparare il nuovo sistema di welfare, ma anche per intervenire e creare un sistema di tutele che difenda la dignità del lavoro.
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