Con l’aumento del numero degli occupati nel mese di gennaio 2023 (+33 mila) evidenziato nel bollettino pubblicato ieri dall’Istat prosegue il trend positivo della crescita del nostro mercato del lavoro registrato nello scorso anno (+459 mila rispetto al gennaio 2022) e del tasso di occupazione (60,8%, che rappresenta il record storico nelle serie aggiornate dal nostro Istituto di statistica nazionale). Il pieno recupero dei livelli occupazionali precedenti la pandemia Covid (+263 mila rispetto al febbraio 2020) è destinato a proseguire nei prossimi mesi in relazione a una tendenza della domanda di lavoro che risulta costantemente superiore a quella dell’offerta.
La crescita quantitativa dei posti di lavoro risulta confermata anche dalla lettura degli aspetti qualitativi. In particolare dall’aumento dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato nel corso dell’ultimo anno (+464 mila), superiore a quello totale caratterizzato in prevalenza dalla componente femminile (+246 mila) e da un ricambio generazionale (+65 mila under 35 anni) che diversamente dal passato risulta in linea con le tendenze demografiche. La crescita dell’occupazione continua a essere concentrata sulla quota dei lavoratori dipendenti, in particolare nella fascia di età superiore ai 50 anni (+323 mila), come conseguenza dell’invecchiamento demografico della popolazione attiva e del mancato ricambio generazionale degli ultimi 15 anni.
Questi risultati possono costituire una sorpresa tenendo conto delle problematiche di approvvigionamento delle fonti energetiche e della vertiginosa crescita dei prezzi che hanno generato seri problemi alle aziende e alle famiglie. Analoga a quella relativa alla crescita del Pil nel corso del 2022 (+3,7%) certificata due giorni fa dall’Istat e che risulta superiore di un punto alle previsioni effettuate dal Governo Draghi all’inizio dello scorso anno. Un andamento favorito dalla crescita della domanda interna (+4,6%), sostenuta dalla ripresa degli investimenti e dei consumi interni. Questi ultimi alimentati dal risparmio accumulato dalle famiglie nei mesi del lockdown che ha compensato in parte la perdita del potere di acquisto dei redditi legata all’incremento dell’inflazione.
Per molti osservatori l’andamento positivo è motivato anche dalla capacità di resilienza del nostro apparato produttivo, in particolare delle esportazioni (+9,4% il fatturato nel corso del 2022), grazie all’alto livello di competitività acquisito dalle nostre aziende manifatturiere nel corso dell’ultimo decennio.
Le tendenze strutturali del nostro mercato del lavoro suggeriscono l’esigenza di ripensare in profondità le narrazioni che hanno caratterizzato le analisi e le proposte di politica del lavoro degli anni recenti. La prospettiva di un’ondata di licenziamenti in uscita dal blocco amministrativo, disposto dalle autorità politiche nel corso della pandemia Covid, ha motivato la crescita di provvedimenti di natura assistenziale che risultano controproducenti rispetto a una domanda delle imprese che fatica a trovare lavoratori disponibili per tutte le tipologie dei profili richiesti. Ivi compresi quelli che non richiedono particolari percorsi di qualificazione.
Nonostante queste evidenze, e un aumento dal 32% al 46% dei profili ritenuti di difficile reperimento da parte delle imprese nel corso dell’ultimo anno (Indagine Excelsior Unioncamere – Ministero del Lavoro) prosegue la narrazione pauperistica del nostro mercato del lavoro. Una narrazione alimentata dalla retorica del precariato (i posti di lavoro ci sono ma sono tutti a termine…) e delle grandi dimissioni (le persone che si autolicenziano perché non disponibili a lavorare a tutti i costi) che risulta palesemente distante da una realtà caratterizzata da nuove tendenze che smentiscono questi luoghi comuni. Ma che purtroppo vengono assunti come verità assolute da una parte consistente della classe dirigente e dell’opinione pubblica.
Con la decrescita della popolazione in età di lavoro (circa -650 mila persone negli ultimi tre anni), i comportamenti delle imprese si stanno rivelando più attenti a salvaguardare la tenuta delle proprie risorse umane anche nei momenti di difficoltà economica. In parallelo aumentano le nuove opportunità di lavoro per le persone in cerca di occupazione, in particolare per le donne e i giovani che rappresentano circa l’80% dei bacini delle nuove risorse utilizzabili. L’aumento dell’intensità degli investimenti nelle tecnologie digitali, contrariamente a quanto teorizzato dalla vulgata prevalente negli anni 2000, sta incrementando la domanda di personale qualificato e i problemi di reperibilità dei profili professionali richiesti. Questo è un fenomeno comune a tutti i Paesi sviluppati, ma risulta particolarmente esposto per quelli, come l’Italia, che registrano bassi investimenti nella formazione delle risorse umane.
Queste tendenze, che mettono in evidenza le criticità vere del nostro mercato del lavoro, sono destinare ad aumentare con l’invecchiamento della popolazione e la riduzione di quelle in età di lavoro con conseguenze che possono essere nefaste non solo per la generazione di nuovo reddito, ma anche per la sostenibilità della spesa sociale. Il tema di come rigenerare la popolazione attiva dal punto di vista quantitativo e qualitativo rappresenta una priorità assoluta per le nostre politiche del lavoro. Incompatibile per sua natura con l’incremento delle risorse pubbliche destinate al sostegno al reddito delle persone in condizioni di lavorare che è diventato una sorta di mantra per le politiche sociali praticate nell’ultimo decennio.
Una lettura aggiornata del nostro mercato del lavoro descrive il quadro delle criticità e delle opportunità che abbiamo a disposizione. Ci sono tutte le condizioni per ridimensionare le prime e sfruttare al meglio le seconde. Le risorse tecnologiche e finanziarie a disposizione sono abbondanti e con tutta probabilità, vedi il tasso di utilizzo di quelle messe a disposizione del Pnrr, persino al di sopra della nostra capacità di utilizzo. Il vero limite è rappresentato dai ritardi ideologici e culturali che continuano a essere la vera palla al piede delle nostre politiche del lavoro.
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