Il rapporto di previsione del Centro Studi della Confindustria (CSC) presentato sabato scorso consente di avere una relativa chiarezza non solo sulle prospettive ma anche sulla situazione del Paese nell’attuale intreccio di emergenze di carattere esogeno e quindi difficilmente prevedibili e controllabili. Non esiste condizione peggiore per chi deve compiere delle scelte politiche di quella della percezione che pure è stata per tanto tempo l’indicatore fasullo della realtà.



Purtroppo questo Paese dal 20 luglio scorso procede lungo una strada piena di ostacoli e di insidie senza una guida fornita di tutte le patenti (ovvero i poteri) necessari. L’opinione pubblica è ossessionata dal caro energia e vive in un clima esasperato dai media abituati a sparare sulla Croce Rossa. Non sono chiari gli effetti dell’emergenza energia sulle imprese e quindi sull’occupazione. Si susseguono narrazioni tra loro contraddittorie. Da un lato, emergono dati “sopra le righe” per quanto riguarda le dimissioni, il cui numero continua a superare i licenziamenti e rappresenta la quota più rilevante delle risoluzioni dei rapporti di lavoro. Dall’altro, proseguono le lamentele delle aziende per un’offerta di lavoro che non risponde alla domanda non solo per quanto riguarda la qualità, ma anche la quantità del fabbisogno. Il tutto in un contesto politico tuttora alla ricerca di se stesso.



Secondo il CSC – rebus sic stantibus – l’economia quest’anno rispetterà le previsioni, ma l’anno prossimo si annuncia molto incerto. E l’occupazione? Il Rapporto prevede che la dinamica dell’input di lavoro, dopo una battuta d’arresto in estate, diventerà negativa tra l’autunno e l’inverno, anche se meno intensamente e con un po’ di ritardo rispetto al Pil. Per l’anno prossimo è attesa una ripresa nel mercato del lavoro, sempre sulla scia della risalita dell’attività economica, con l’input di lavoro che tornerà a crescere solo nella seconda parte del 2023.



Un po’ di sfasamento temporale – sostiene il CSC – tra dinamica del lavoro e Pil è, d’altronde, in linea con ciò che si è osservato in Italia in precedenti fasi cicliche. A eccezione della crisi sanitaria, quando l’andamento dell’attività economica si è riflesso sull’input di lavoro impiegato con sostanziale immediatezza e quasi uno a uno in termini di ampiezza: ciò in larga parte grazie a strumenti di integrazione al reddito da lavoro, in primis la Cig-Covid, che sono stati temporaneamente estesi alla totalità di imprese e a quasi tutte le tipologie di lavoratori dipendenti. Il rallentamento della domanda di lavoro in estate si manifesta già nell’andamento del numero di persone occupate, che nel bimestre luglio-agosto è rimasto sostanzialmente stabile sui livelli del 2° trimestre.

Nonostante la flessione prevista nel 4° trimestre, si prevede che in media d’anno nel 2022 le ULA (Unità lavorative anno) aumenteranno del 4,3% (poco sotto l’acquisito di +4,5% al 2° trimestre) e il numero di persone occupate del 2,1% (+2,3% acquisito nel bimestre luglio-agosto). Con la contrazione dell’input di lavoro che proseguirà all’inizio dell’anno prossimo, nonostante la ripresa da metà anno, le ULA nella media del 2023 rimarranno quasi ferme (-0,1%), a riflesso di una sostanziale stabilità sia del numero di persone occupate, sia delle ore lavorate pro-capite.

In termini settoriali, si prevedono dinamiche parzialmente eterogenee per l’input di lavoro, a riflesso di quelle dei livelli di attività. Nell’industria in senso stretto, grazie al ricorso a riduzioni temporanee degli orari di lavoro, anche tramite la Cig, le ULA, già in lieve contrazione in primavera, registreranno in estate un’ulteriore flessione, che si amplierà in autunno, in linea con l’andamento previsto per il valore aggiunto. Nell’industria, d’altronde, hanno inciso più largamente, fin da subito, i rincari energetici. Già alla fine del 2021 si era registrato un indebolimento nella dinamica dei livelli di attività, a cui è seguita con un po’ di ritardo la battuta di arresto dell’input di lavoro.

Nelle costruzioni, invece, i rialzi di valore aggiunto sono proseguiti con slancio fino al 1° trimestre 2022, mentre nel 2° si è registrata una frenata, che potrebbe protrarsi nel 3° trimestre. L’input di lavoro, che da inizio 2021 non ha tenuto il passo dello straordinario boom del settore (+12,2% le ULA nel 2° trimestre 2022 sul 1° 2021, contro il +18,6% del valore aggiunto), è previsto continuare a espandersi anche nella seconda parte dell’anno. Ciò smorza parzialmente il balzo della produttività del lavoro, che d’altronde nel breve periodo in osservazione è difficile che sia effettivamente sorretto da miglioramenti tecnologici.

Per l’aggregato dei servizi privati, il recupero rispetto ai livelli pre-Covid è stato più lento che nell’industria e si è concluso per il valore aggiunto solo nel 2° trimestre di quest’anno, mentre per le ULA non è ancora completo. La ripresa è stata precoce solo per alcuni comparti a più elevato contenuto tecnologico e informativo, mentre i settori più colpiti dalle misure di contenimento imposte dall’emergenza sanitaria hanno registrato divari più ampi, che in alcuni casi non si sono ancora completamente chiusi nonostante la risalita in atto fino alla metà dell’anno: -1,9% le ULA nel 2° trimestre 2022 sul 4° 2019 nel comparto di arte, intrattenimento e servizi di riparazione di beni per la casa (e ancora -10,1% il valore aggiunto); -4,6% per commercio, trasporti e alloggio/ristorazione (-1,4% il valore aggiunto).

Per i servizi è attesa nei prossimi trimestri una tenuta maggiore dei livelli di attività, e conseguentemente dell’occupazione, perché risentono meno dei rincari e delle strozzature di offerta in corso. Su di essi, tuttavia, potrebbe essere più ampia l’onda lunga dell’attuale crisi energetica, a causa di un ridimensionamento della domanda interna, innescato da una ridotta capacità di spesa delle famiglie colpita dai più alti prezzi.

Il CSC arriva poi ai dati più significativi. Le situazioni di crisi sono di solito contraddistinte dal ricorso alla Cig. Per integrare il quadro di analisi settoriale si può guardare al numero di ore autorizzate di Cig al mese, in diversi comparti, in rapporto alla dimensione del settore (misurata dal monte ore mediamente lavorate nel 2019). Sebbene l’autorizzazione e l’utilizzo effettivo delle ore di Cig non siano contemporanei (dato che le aziende si possono far autorizzare ore da utilizzare anche nei mesi successivi), la dinamica delle richieste è utile per anticipare rallentamenti dell’attività previsti dalle imprese.

Dopo i picchi di aprile (per manifattura e costruzioni) e maggio 2020 (nei servizi), l’incidenza delle ore autorizzate di Cig ha registrato ulteriori impennate tra marzo e agosto 2021, per poi calare progressivamente nella seconda parte dell’anno in tutti i settori e rimanere abbastanza stabile nel 2022, su livelli poco al di sopra del 2019. Tra gennaio e agosto 2022 il rapporto tra ore autorizzate di Cig e monte ore lavorate è stato pari a 5,3% nella manifattura, contro il 3,2% medio del 2019. Anche nel comparto alberghi-ristoranti l’incidenza delle autorizzazioni nel 2022 è stata finora mediamente pari al 3,5% (contro lo 0,1% nel 2019), ma si è assottigliata nel corso dei mesi (1,0% ad agosto). Nelle costruzioni la quota è stata molto bassa in tutti i primi 8 mesi, intorno all’1,5%, anche sotto l’1,8% del 2019.

I dati finora disponibili non danno indicazione di imminenti rialzi nel ricorso a strumenti di integrazione al reddito, per riduzione degli orari di lavoro. Tuttavia, le richieste di autorizzazioni Cig sono una variabile cruciale da monitorare nei prossimi mesi, perché potrebbe segnalare eccessi di manodopera attesi, a seguito del rallentamento dell’attività.

Diverso è il problema della disoccupazione. La forte risalita dell’occupazione, da inizio 2021, ha permesso un rientro del tasso di disoccupazione, dal 10,2% a gennaio 2021 (picco durante la crisi sanitaria) al 7,9% a giugno 2022, nonostante la contemporanea espansione della partecipazione al mercato del lavoro. Nel bimestre luglio-agosto il tasso di disoccupazione è ulteriormente sceso, al 7,8%, in presenza di una sostanziale stabilità del numero di occupati e al tempo stesso una lieve contrazione delle forze lavoro.

Nell’orizzonte previsivo, tuttavia, ci si attende un aumento del tasso di disoccupazione, all’8,1% in media nel 2022 e all’8,7% nel 2023. Ciò a causa della prevista battuta d’arresto della dinamica occupazionale, a fronte di una forza lavoro che continuerà a espandersi. A differenza dell’occupazione, che già a marzo 2022 aveva superato i livelli pre-Covid, la partecipazione al mercato del lavoro non ha ancora colmato il crollo registrato durante il lockdown: -441mila unità la forza lavoro nel bimestre estivo rispetto al 4° trimestre 2019 (-1,7%), con 60mila persone occupate in più.

Il calo della partecipazione è stato più marcato per le donne (-2,0%, contro il -1,6% per gli uomini), già caratterizzate da tassi di partecipazione particolarmente bassi, sia rispetto alla componente maschile sia nel confronto internazionale.

Ci si attende che la partecipazione al mercato del lavoro si espanda nei prossimi mesi, sorretta, nonostante la prevista stagnazione, dalle politiche di attuazione del Programma Nazionale Garanzia Occupabilità Lavoratori (GOL). Con una forza lavoro che cresce a un ritmo dello 0,6-0,7% sia quest’anno, sia l’anno prossimo, il tasso di disoccupazione è previsto, come detto, salire nella seconda parte del 2022 e nel 2023.

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