Nel mese di giugno u.s. il numero delle persone occupate è aumentato di 82 mila unità rispetto al mese precedente e di 354 mila nel confronto con l’analogo mese del 2022. Il dato, contenuto nel bollettino Istat pubblicato ieri, può risultare sorprendente di fronte all’inversione di tendenza del ciclo economico e del Pil nel secondo trimestre di quest’anno (-0,3% rispetto al precedente) segnalata il 31 luglio dal comunicato dell’ Istituto di statistica nazionale.
La crescita dell’occupazione risulta trainata dai comparti dei servizi, in particolare quelli del turismo e della ristorazione, che sono subentrati come una staffetta al ruolo svolto nei due anni precedenti dai settori dell’industria manifatturiera e delle costruzioni.
L’elemento di continuità è rappresentato dallo straordinario aumento dei rapporti di lavoro dipendente (+395 mila), che nel corso degli ultimi 12 mesi è stato persino superiore a quello del saldo finale degli occupati, compensando anche la riduzione dei contratti a termine (-42 mila). Per questi ultimi, nel mese di giugno viene segnalata una lieve ripresa legata alle prestazioni stagionali (+21 mila), che non modifica in modo significativo il trend registrato nel corso degli ultimi 18 mesi.
Il dibattito politico e sindacale, che continua a essere caratterizzato dalla retorica della precarietà e del lavoro povero, fatica a comprendere le novità nei comportamenti delle imprese e della forza lavoro dovute essenzialmente a due fattori: la crescente difficoltà delle imprese nel trovare le risorse umane con caratteristiche coerenti ai fabbisogni, aumentata dal 32% al 46% sul totale dei profili ricercati nel corso degli ultimi 18 mesi (indagine Excelsior Unioncamere/Anpal); la costante riduzione della popolazione in età di lavoro, poco meno di 700 mila persone, rispetto al periodo precedente la pandemia. Un trend destinato a proseguire nei prossimi anni per le conseguenze delle dinamiche demografiche già consolidate.
Queste difficoltà hanno reso le imprese più attente alla conservazione del personale già formato, e all’aumento del suo utilizzo, stabilizzando i rapporti di lavoro e incrementando gli orari medi lavorati. Sul versante dell’offerta di lavoro, i comportamenti dei lavoratori, soprattutto di quelli dotati di competenze, sono diventati più selettivi rispetto alle opportunità di lavoro disponibili. Un fenomeno che ha condizionato anche gli esiti dei concorsi attivati dalle pubbliche amministrazioni per la selezione del personale. Infatti, il numero dei nuovi assunti è risultato largamente inferiore rispetto ai posti disponibili.
La riduzione della popolazione in età di lavoro offre maggiori possibilità per il ricambio generazionale e di genere anche per compensare, almeno in parte, l’invecchiamento della popolazione attiva (+351 mila gli occupati over 50 anni negli ultimi 12 mesi). L’aumento del numero assoluto degli occupati rispetto al 1° gennaio 2020, circa 540 mila, coincide essenzialmente con la riduzione delle persone disoccupate in cerca di lavoro (-520 mila). Allo stato attuale la contrazione del numero delle persone in età di lavoro risulta in gran parte assorbita da quella delle persone inattive (-497 mila).
I tanti aspetti positivi non devono far trascurare le criticità. Nonostante la crescita del tasso di occupazione, la distanza rispetto a quello medio dei Paesi europei rimane rilevante, circa 9 punti. Soprattutto se si tiene conto dell’esigenza di rendere sostenibile il finanziamento delle prestazioni sociali delle persone anziane destinato a crescere in modo esponenziale. Gli squilibri interni, generazionali, di genere e territoriali rimangono elevati. La loro riduzione dipende dalla capacità di impiego di una quota di persone, attualmente superiore ai 3 milioni, disoccupate o inattive per la gran parte caratterizzate da competenze limitate e da scarse esperienze lavorative.
Nei prossimi anni il mismatch tra la domanda e l’offerta di lavoro tenderà ad aumentare per gli effetti delle innovazioni tecnologiche e per il mancato ricambio del personale specializzato. Gli effetti sono già visibili nella fascia degli occupati tra i 35 e i 49 anni di età, che rappresentano la spina dorsale di ogni mercato del lavoro, che si sta contraendo in modo preoccupante.
Anche a costo di suscitare le reazioni scandalistiche dei lettori che hanno la pazienza di leggere i miei noiosi articoli, segnalo che la contrazione dei contratti a termine, e della propensione a espandere l’attività in una condizione di incertezze economiche, non rappresenta un buon segnale per le prospettive dell’occupazione nel breve termine. Rigenerare la popolazione che lavora rappresenta la priorità assoluta delle politiche del lavoro. Quella in grado di rendere sostenibili gli investimenti e la crescita di un’economia che deve fare i conti con la contrazione del numero delle persone produttive.
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