Il costante aumento dei fabbisogni professionali delle imprese che non trovano lavoratori disponibili nel mercato del lavoro (mismatch) rallenta la crescita dell’occupazione e dell’economia con implicazioni negative sulla sostenibilità del modello redistributivo.
In un recente articolo, con l’ausilio di alcune statistiche dell’Eurostat, abbiamo cercato di evidenziare come le mancate riforme del welfare e del mercato del lavoro abbiano penalizzato in particolare la domanda e l’offerta di lavoratori qualificati. Nei prossimi 15 anni queste criticità tenderanno ad aumentare per effetto delle dinamiche demografiche: l’aumento del numero dei pensionati e la riduzione delle persone in età di lavoro.
L’impatto delle tecnologie digitali, oltre ad accrescere il tasso di obsolescenza dei profili professionali in essere, aumenta la domanda di lavoratori competenti per trasferire il potenziale delle innovazioni nelle organizzazioni o per utilizzarle in modo proficuo per migliorare la qualità dei prodotti e dei processi produttivi. Allo stato attuale il saldo tra la distruzione e la generazione di posti di lavoro rimane positivo in tutti i Paesi sviluppati. La capacità di soddisfare i nuovi fabbisogni professionali diventa un requisito imprescindibile per far crescere la competitività, la produttività e i redditi da lavoro.
Dall’analisi del mismatch del nostro mercato del lavoro emerge con chiarezza la carenza della quota dei profili con elevata qualificazione, inferiore di circa 7 punti sul totale degli occupati rispetto alla media dei Paesi Ue. Sono i ceti esperti dotati delle competenze scientifiche, matematiche, ingegneristiche e informatiche che consentono di aumentare il tasso degli investimenti digitali in tutte le attività economiche e di garantire il ricambio imprenditoriale e manageriale. L’aumento della disponibilità dipende una solida programmazione di medio e lungo periodo in relazione ai fabbisogni del mercato del lavoro.
In questa direzione le performance del nostro sistema formativo (università e scuole secondarie superiori) sono decisamente peggiorate nel corso degli anni 2000. Quella relative ai tempi d’ingresso nel mercato del lavoro dei laureati ha recuperato solo di recente i tempi d’ingresso precedenti al 2008. La percentuale rimane al di sotto della media europea e parte significativa delle competenze acquisite risulta disallineata rispetto ai fabbisogni del mercato. Un graduale recupero di questi ritardi può consentire di limitare i danni, ma la disponibilità di questi profili continuerà a rimanere al di sotto della stima delle potenziali assunzioni delle imprese e della Pubblica amministrazione (indagine Excelsior ministero del Lavoro Unioncamere sulle assunzioni nel triennio 2024-2027).
Un esito analogo si sta registrando per la componente delle professioni esecutive specializzate e qualificate che rappresentano tuttora una parte rilevantissima del nostro mercato del lavoro e degli occupati in diversi comparti economici (la manifattura, l’edilizia, l’agricoltura, il commercio, i trasporti, il lavoro autonomo). In questi ambiti il ricambio generazionale è stato garantito per decenni da un insieme di fattori che si stanno progressivamente esaurendo con l’uscita dei lavoratori anziani dal mercato del lavoro (gli approcci valoriali, le consuetudini familiari, i trasferimenti dei saperi nell’ambito delle esperienze lavorative). La percezione collettiva sottovaluta l’impatto delle innovazioni tecnologiche che concorrono a mutare la qualità dei cosiddetti mestieri, senza ridurre il fabbisogno finale delle prestazioni.
La carenza di offerta di lavoro per le professioni esecutive specializzate e per le mansioni poco qualificate aumenta la propensione delle imprese ad assumere i lavoratori immigrati e a richiedere nuove quote d’ingresso di cittadini extracomunitari. Questa tendenza, apparentemente razionale, deve essere valutata in relazione ad altri fenomeni: l’accumulo di un bacino consistente di persone disoccupate e inattive nel territorio nazionale (circa 3,5 milioni); il sottoutilizzo in termini di orari di lavoro annui di una quota elevata di lavoratori (circa 4 milioni, un terzo dei quali immigrati regolarmente soggiornanti); la rilevante quota di lavoro sommerso, largamente superiore alla media, nei settori che registrano un basso tasso di investimenti; un’elevata presenza dei lavoratori immigrati e rapporti di lavoro poco remunerati. La crescita professionale e la programmazione dei nuovi flussi d’ingresso dei lavoratori immigrati possono avere un ruolo importante nella formazione della futura popolazione attiva. Ma allo stato attuale l’aumento del numero dei lavoratori stranieri (il 20% del totale delle nuove attivazioni dei rapporti di lavoro) risulta necessario per garantire la sostenibilità dei mercati del lavoro caratterizzati dalle prestazioni sommerse e dalle basse retribuzioni.
Le caratteristiche dei mismatch che abbiamo schematicamente riassunto ci consentono di evidenziare le potenzialità e le criticità che devono essere considerate per orientare le politiche attive del lavoro. La domanda di lavoro tende ad aumentare con ritmi superiori all’offerta disponibile in termini quantitativi e qualitativi. Vi è la condizione ideale per offrire risposte a tre criticità che ereditiamo dal passato (il mancato ricambio di genere e generazionale; gli squilibri territoriali; la stagnazione dei salari reali). Allo stato attuale un miglioramento si registra nell’incremento dei rapporti a tempo indeterminato, superiore alla crescita dell’occupazione totale, ma non per la crescita dei salari reali e della quota dei lavoratori altamente qualificati.
La carenza di risorse umane professionalmente adeguate è destinata a rimanere un connotato del nostro mercato del lavoro per molti anni e può essere ridimensionata aumentando l’attrattività della domanda di lavoro con investimenti rivolti ad aumentare la produttività, le competenze e le retribuzioni dei lavoratori. Questo obiettivo deve essere colto per evitare che una quota significativa dei giovani formati emigri per soddisfare le aspettative personali e i fabbisogni di lavoratori qualificati di altri Paesi.
La sostenibilità delle transizioni lavorative (i tempi di inserimento dei giovani nel mercato in uscita dai percorsi formativi, l’adeguamento delle competenze nell’ambito lavorativo e durante i periodi di disoccupazione involontaria) deve essere assunto come un obiettivo primario. Contemplato come diritto dei lavoratori di accedere alle informazioni, ai servizi di orientamento e alla formazione, e dovere dei percettori dei sostegni al reddito per la perdita involontaria del lavoro di accettare tutte le offerte lavorative ragionevolmente compatibili con il profilo professionale.
Il complesso delle misure da mettere in campo richiede una programmazione sul medio lungo periodo (gli investimenti sulle competenze delle risorse umane, la crescita della produttività e delle retribuzioni) e sul breve periodo (i servizi per facilitare l’incontro domanda e offerta di lavoro e la valorizzazione della formazione nell’ambito lavorativo). L’attuale offerta di politiche attive risulta inadeguata su due fronti: la quantità e la qualità dei servizi di orientamento e dell’offerta formativa; il numero degli attori pubblici e privati che devono essere coinvolti dalle istituzioni nella programmazione e nella progettazione degli interventi.
È una direzione di marcia che richiede una governance complessa, capace di mobilitare l’insieme degli attori pubblici e privati che hanno competenze e ruoli per mobilitare le risorse disponibili nella giusta direzione.
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