La pubblicazione dei dati del quarto trimestre 2022 consente a Istat di fare un bilancio molto dettagliato del 2022 presentando dati su diversi aspetti del mercato del lavoro.

Leggendo la parte congiunturale si possono trarre buone conclusioni: ore lavorate in aumento dello 0,7% rispetto al trimestre precedente e del 3,1% rispetto al quarto trimestre 2021. Su anche gli occupati: nel quarto trimestre 2022, sono 120 mila in più rispetto al terzo trimestre (+0,5%). Crescono i dipendenti a tempo indeterminato (+166 mila, +1,1%), calano poco quelli a termine (-36 mila, -1,2% in tre mesi). Più occupazione e più stabilità. Guardando i dati provvisori di gennaio e le prime anticipazioni di dati locali per febbraio le dinamiche sembrano le stesse: cresce l’occupazione, cresce anche la ricerca di lavoro (e il relativo tasso di disoccupazione), meno inattività, più stabilità.



Non ci sono dubbi, un 2022 buono e una tendenza in atto che non sembra volgere al peggio. La crescita c’è, crescono anche gli indicatori dei posti vacanti. Tralasciando la lamentela pubblica sulla difficoltà a trovare lavoratori, la crescita del tempo indeterminato rappresenta un tentativo dei datori di lavoro di porre freno alla facilità con cui i lavoratori migliori possono trovare occasioni per cambiare.



La riduzione della base demografica, la domanda in crescita e l’inflazione hanno amplificato i fenomeni di mobilità da posto a posto, spesso con brevi periodi di pausa fra contratti. La domanda delle imprese si sta adeguando: se non si può spingere troppo sulle leve salariali, allora si spinge sulla conciliazione (smart working, welfare aziendale) e sulla stabilità contrattuale. Il tempo indeterminato è il contratto dell’83,7% dei lavoratori dipendenti in Italia.

Si può allargare la base occupazionale del Paese? La risposta è: sì, si può. I giovani sono pochi o non ci sono, però ci sono molte donne che non lavorano ancora e molte aree del Paese con tassi di occupazione molto bassi. Se guardiamo i dati degli inattivi, possiamo facilmente capire le dimensioni dei principali gruppi che potrebbero entrare (o rientrare) nel mercato se sostenuti da una politica del lavoro che punti alla riattivazione oltre che alla rapida re-immissione di precari.



Ci sono 573.000 persone che aspettano una risposta di domande o concorsi e quindi hanno sospeso la ricerca. Speriamo che gli rispondano in fretta, si rimetterebbero a cercare subito se la risposta fosse negativa. Abbiamo 1 milione e 28.000 scoraggiati, vale a dire persone che hanno cercato ma non hanno trovato e al momento hanno deciso di lasciar perdere. A questi non possiamo riproporre le solite ricette di politica attiva (passa al Centro per l’impiego, manda il CV, fai un corso, vai in agenzia…): hanno bisogno di un programma credibile, che contenga prove, anche brevi, di lavoro in condizioni reali, che contribuiscano a una valutazione della loro capacità di mantenere il posto di lavoro e in seguito di riprendere una condotta efficace sul mercato.

Abbiamo poi persone con problemi familiari: 2.836.000 persone, quasi tutte donne: 2.708.000 (il 95,5% di questo gruppo). Inutile dire che in questo caso la politica del lavoro senza welfare può fare ben poco. Se solo una parte di queste donne potesse tornare sul mercato, probabilmente il mercato sembrerebbe meno ristretto di quanto non sembri oggi. Con un tasso di posti vacanti del 2,4% delle posizioni lavorative, c’è posto per centinaia di migliaia di ulteriori posizioni.

Dell’inflazione e del suo peso sulla mobilità del lavoro e del suo ruolo sull’erosione del potere d’acquisto si è già detto e scritto molto. Istat ci fa comunque sapere come sono andate le retribuzioni contrattuali di cassa nel quarto trimestre come media mensile. Avvisiamo i lettori che il dato è molto grezzo, nel quarto trimestre ci finiscono le tredicesime e in alcuni settori ci sono anche finiti i recuperi di periodi contrattuali arretrati; peraltro si tratta di una media che contiene livelli di inquadramento molto diversi, e, come spesso accade con le medie, in sostanza nessuno prende quella cifra.

I tassi di variazione rispetto allo scorso anno indicano in che misura si sta recuperando o meno l’inflazione negli ultimi 12 mesi, anche se alcuni comparti contrattuali vengono da anni di crescite salariali nulle o risibili.

Il tasso di variazione rispetto allo stesso trimestre 2021 è del 6,2% nel totale dell’economia, ma se consideriamo solo industria e servizi di mercato siamo al +1,2%; la differenza la fanno settori ad ampia prevalenza di pubblico: amministrazione pubblica, sanità e assistenza sociale, istruzione. D’altra parte, nella zona bassa della classifica, troviamo il commercio all’ingrosso e al dettaglio e la riparazione di autoveicoli e motocicli con un +0,2% e le attività dei servizi di alloggio e di ristorazione con un +0,5%. Pur con tutte le avvertenze di cui sopra e con la massima prudenza del commentatore, possiamo capire perché in alcune parti del mercato del lavoro ci siano problemi di elevata mobilità.

Anche dal punto di vista territoriale le differenze restano gravi. Istat ha pubblicato le tabelle dell’occupazione 2022 per provincia e per i grandi comuni. Prendendo anche un solo indicatore possiamo tentare qualche confronto; usiamo il tasso di occupazione 15-64 anni, vale a dire la percentuale di occupati sul totale della popolazione in questa classe di età. Nelle prime 10 province della classifica il tasso di occupazione va dal 70,1% al 74,1%; sono 9 province del nord e una del centro (il lettore curioso consulti il sito di Istat). Nelle ultime 10 province il tasso di occupazione va dal 35,8% al 43,4%. Troppe differenze.

Se guardiamo i dati dei 13 grandi comuni (grazie Istat che pubblichi anche questi), vediamo che i primi 6 per tasso di occupazione nel 2022 hanno visto aumentare il tasso medio di occupazione rispetto al 2018 di circa un punto, mentre gli ultimi 6, nel centro-sud, hanno visto una crescita ci circa due punti. Il divario resta ampio, ma anche al centro-sud il ruolo delle città maggiori fa da catalizzatore come al nord.

Insomma, va bene, ma la velocità di crescita dei salari, la mobilità contrattuale, la redistribuzione territoriale del lavoro fra regioni del nord e del sud e fra centri urbani piccoli e grandi all’interno della stessa regione presentano grandi differenze. Dopo la fine della pandemia, con inflazione e invasione dell’Ucraina, il mercato del lavoro sta vivendo una ristrutturazione molto complessa e sottovalutata da molti. È difficile da decifrare e da raccontare, è ancor più difficile capire quando e dove finirà.

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