Mercoledì scorso Istat ha pubblicato i dati sull’occupazione rilevati a dicembre 2023: rispetto al mese precedente, il calo del tasso di disoccupazione (-0,1 tra gli uomini e -0,4 punti tra le donne) e l’aumento del tasso di inattività (+0,1 punti per entrambi) si associano a un tasso di occupazione stabile tra gli uomini e “timidamente ” crescente tra le donne (+0,1 punti). Cos’ha determinato il timido cenno di aumento dell’occupazione femminile?
Bisogna cercare di capire attraverso l’analisi dei settori dove è la risposta: sicuramente nel terziario, in cui nonostante tutto il tasso di occupazione delle donne in Italia tiene ed è pari al 43,6% contro una media europea del 54,1%, un gap molto più ampio di quello relativo all’occupazione maschile (60,3% in Italia, 64,7% in Europa). Se il tasso di disoccupazione femminile in Italia (11,1%) venisse portato al valore europeo (7,2%), si avrebbero 433mila donne occupate in più. Nel confronto tra le macro aree italiane, il tasso di occupazione delle donne al Sud è pari al 28,9% contro il 52% del Nord. Nel terziario di mercato, l’occupazione femminile supera quella maschile: rispetto al totale dell’economia italiana, infatti, in questo settore lavora il 75% delle donne, mentre la quota maschile è al 52%. Infine, rispetto alle tipologie di contratto, su 100 donne occupate a tempo indeterminato nel complesso dell’economia italiana, il 69% è nel terziario di mercato, mentre per gli uomini la percentuale si ferma al 45,9%.
In particolare, però, i settori delle costruzioni e dell’informazione e comunicazione, sono caratterizzati da una presenza maschile superiore alla media: le donne rappresentano solamente il 7,8% degli occupati nelle costruzioni e il 29,5% di quelli nel comparto di informazione e comunicazione. La partecipazione delle donne è anche molto legata ai carichi familiari: nel 2023 il tasso di occupazione delle 25-49enni è pari all’81,3% se la donna vive da sola, scende al 76,2% se vive in coppia senza figli e al 60,2% se ha figli. Anche il divario a sfavore delle madri si riduce sensibilmente all’aumentare del titolo di studio: tra le laureate il tasso di occupazione è superiore al 70% indipendentemente dal ruolo in famiglia e dalla ripartizione di residenza. Nel complesso, il tasso di occupazione delle 25-49enni oscilla da un minimo di 22,9% tra le madri del Mezzogiorno con basso titolo di studio a un massimo di 97,0% tra le donne laureate che vivono da sole al Centro.
Differenze di genere si riscontrano anche nella qualità del lavoro. Oltre un quarto delle donne (27,2%) presenta elementi di vulnerabilità legati alla precarietà lavorativa (dipendenti a tempo determinato e collaboratori) e/o all’impossibilità di trovare un lavoro a tempo pieno (part-time involontario); tra gli uomini la quota dei lavoratori vulnerabili scende al 15,6%.
L’Italia soffre di un cronico ritardo nel confronto con i principali partner internazionali. Insomma, viviamo in un Paese in cui il tasso di occupazione femminile è molto basso, così basso da essere il peggiore d’Europa, in cui la qualità del lavoro femminile è scarsa e caratterizzata da contratti poveri, in cui non si realizzano i desideri di fecondità, un Paese in cui per le donne i figli rappresentano spesso l’uscita dal mercato del lavoro e l’anticamera della povertà, e in cui i divari sociali e territoriali sono fortemente accentuati a svantaggio del Sud specialmente se si è una donna.
Il tasso di inattività che continua ad aumentare soprattutto per le donne in età di lavoro dovrebbe essere un buon motivo per cambiare le politiche del mercato del lavoro: meno sussidi e più servizi , nella contrattazione di secondo livello ancora troppo blanda il ricorso a un uso dei fondi bilaterali per maggiori congedi parentali o premio di produttività trasformato in permessi per la flessibilità del lavoro, e un monitoraggio serio disaggregato per genere in tutti i settori lavorativi, poiché sottolineare per esempio che le dimissioni “volontarie” coinvolgono le lavoratrici in numero estremamente maggiore e lo scenario settoriale delle convalide si innesta nel tradizionale assetto di genere del mercato del lavoro, e addirittura vi sono settori – come l’industria – in cui le donne sono presenti in quota inferiore agli uomini, pur registrando un numero di convalide più elevato, indica dove una politica industriale innovativa potrebbe rappresentare una opportunità concreta per aumentare l’occupazione femminile.
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