Conoscendone la spiccata propensione a mentire, c’era da aspettarsi che l’accomandita semplice Landini & Bombardieri attribuisse allo sciopero generale del 29 novembre l’incremento dell’occupazione e la diminuzione del tasso di disoccupazione registrati dall’Istat nella rilevazione di ottobre. Certo, in tanti avrebbero notato la discrepanza tra le date, ma in questo caso il Duo Fasano del sindacalismo sfascia carrozze avrebbero tirato in ballo l’effetto annuncio sulle imprese di una “rivolta sociale” finalizzata a “rivoltare il Paese come un guanto”.
Come sempre il commento di sintesi dell’Istituto di statistica fornisce un quadro di insieme esaustivo. A ottobre 2024, dopo il calo di settembre, il numero di occupati torna a crescere (+47mila unità), attestandosi a 24 milioni e 92mila; l’aumento coinvolge i dipendenti permanenti – che salgono a 16 milioni 210mila – e gli autonomi, pari a 5 milioni 158mila; i dipendenti a termine scendono a 2 milioni 724mila.
Anche la crescita dell’occupazione che si registra rispetto a ottobre 2023 (+363mila occupati) è sintesi dell’aumento tra i dipendenti permanenti (+449mila) e tra gli autonomi (+127mila) e del calo tra i dipendenti a termine (-212mila).
Su base mensile, il tasso di occupazione sale al 62,5%, quello di inattività al 33,6%, mentre il tasso di disoccupazione scende al 5,8%.
A ottobre 2024, rispetto al mese precedente, aumentano occupati e inattivi, a fronte della diminuzione dei disoccupati. La crescita dell’occupazione (+0,2%, pari a +47mila unità) coinvolge gli uomini, i dipendenti permanenti, gli autonomi e chi ha almeno 50 anni di età; tra i 15-24 enni e tra le donne l’occupazione è stabile, mentre diminuisce tra i 25-49enni e i dipendenti a termine. Il tasso di occupazione sale al 62,5% (+0,1 punti). Il numero di persone in cerca di lavoro diminuisce (-3,8%, pari a -58mila unità) per uomini e donne e per tutte le classi d’età. Il tasso di disoccupazione scende al 5,8% (-0,2 punti), quello giovanile al 17,7% (-1,1 punti). Il numero di inattivi aumenta (+0,2%, pari a +28mila unità) tra le donne e gli under 35, mentre diminuisce tra gli uomini e le altre classi d’età. Il tasso di inattività sale al 33,6% (+0,1 punti).
Confrontando il trimestre agosto-ottobre 2024 con quello precedente (maggio-luglio), si registra un incremento nel numero di occupati dello 0,5% (pari a +121mila unità). La crescita dell’occupazione, osservata nel confronto trimestrale, si associa alla diminuzione delle persone in cerca di lavoro (-9,7%, pari a -163mila unità) e all’aumento degli inattivi (+0,8%, pari a +97mila unità). A ottobre 2024, il numero di occupati supera quello di ottobre 2023 dell’1,5% (+363mila unità), aumento che coinvolge uomini, donne, 25-34enni e ultracinquantenni. Il numero di occupati rimane sostanzialmente stabile tra i 35-49enni, mentre diminuisce tra i 15-24enni. Il tasso di occupazione in un anno sale di 0,6 punti percentuali. Rispetto a ottobre 2023, diminuisce il numero di persone in cerca di lavoro (-26,0%, pari a -519mila unità) e cresce quello degli inattivi tra i 15 e i 64 anni (+3,1%, pari a +378mila).
Nella loro essenzialità i grafici danno l’idea del trend del mercato del lavoro tra la fase precedente e quella che ha seguito la crisi sanitaria, la quale – per tanti e diversi motivi – non poteva non incidere sui grandi insiemi dell’occupazione. Se si osservano gli anni-chiave del 2020 e 2021 vanno fatti notare processi tra loro coerenti. Nel primo anno si assiste a un crollo dell’occupazione contemperato da un andamento meno negativo per quanto riguarda la disoccupazione (era in vigore il blocco dei licenziamenti) e da un incremento degli inattivi. Nel 2021 – in rapporto alle misure di riapertura delle attività produttive . i trend migliorano (anche quelli critici degli inattivi che si misurano in base al ribasso al pari del tasso di disoccupazione). Poi dal 2022 parte un’impennata verso le direzioni virtuose fino all’ottobre dell’anno in corso che sembra non doversi fermare, anche se è opportuno segnalare l’emergere di una diversa qualità.
Mentre viene confermato il processo di crescita del lavoro a tempo indeterminato e in calo quello a termine, come ha sottolineato Lidia Baratta su Linkiesta, a ottobre, il lavoro cresce solo tra i maschi. Gli occupati in un mese sono aumentati solo tra gli uomini (+49mila), mentre le donne perdono duemila posti di lavoro e sono stazionarie ormai da luglio 2024. Sintomo giudicato molto preoccupante in un Paese in cui il tasso di occupazione femminile, nonostante sia ai massimi, resta comunque il più basso d’Europa. Inoltre gli occupati crescono solo tra gli over 50, con sessantaseimila posti di lavoro in più tra i senior. Mentre si perdono novemila occupati tra i 25 e i 34 anni e diecimila tra 35 e 49 anni. Anche senza considerare l’invecchiamento della popolazione, gli occupati over 50 in un anno crescono del 2,2%, a fronte del +0,4% degli under 35 e del +0,1% dei quarantenni. Secondo Baratta, quindi, il mercato del lavoro italiano, dopo lo sprint degli anni post-pandemia, appare un po’ come un maratoneta stanco vicinissimo al “muro”. Nonostante continui a guadagnare nuovi occupati (o nuovi chilometri), perde energia e lucidità a ogni passo.
È il caso di prendere in considerazione quanto sostenuto da Claudio Negro su Itinerari previdenziali, secondo il quale, il dato davvero negativo del report Istat è quello relativo al numero degli inattiv (ossia persone che non lavorano né lo cercano), che aumenta di 73.000 unità rispetto a giugno, con un tasso rispetto alla popolazione potenzialmente attiva del 33,3%. Un dato sostanzialmente statico negli ultimi 18 mesi. E, infatti, su circa 38 milioni di italiani in età da lavoro ne lavorano solo circa 24 milioni: nessuna economia sviluppata ha un tasso così alto di inattivi. Ciò potrebbe far pensare che, senza aggredire i margini lasciati scoperti dal mismatch tra domanda e offerta di lavoro e dal numero dei posti vacanti, siamo arrivati al “tetto occupazionale” con potenziale riduzione nei versamenti contributivi e fiscali a fronte di un’unica certezza: l’aumento del debito causato dalle decontribuzioni e agevolazioni che drogano un mercato che vivacchia (come quello tedesco) senza investire e con scarsa produttività.
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