L’occupazione è ancora in crescita in Italia a marzo 2024. Lo ha comunicato l’Istat ieri, pubblicando i dati della rilevazione continua sulle forze di lavoro.
La crescita degli occupati a marzo è stata di circa 70.000 unità, il tasso di occupazione sale al 62,1%. Il tasso di inattività (la percentuale di inattivi sulla popolazione in età da lavoro) resta fermo al 33%. In conseguenza il tasso di disoccupazione scende al 7,2% e il tasso di disoccupazione giovanile scende al 20,1%.
Il confronto su base annuale è ancora positivo: la crescita rispetto a marzo 2023 è dell’1,8%, pari a 425 mila unità in più. Se si guarda al dato annuale l’aumento occupazionale coinvolge sia uomini che donne e tutte le classi di età, eccetto quella fra i 35 e i 49 anni che va soggetta ad andamento demografico negativo; anche in questa classe di età il tasso di occupazione cresce, ma solo perché gli occupati calano meno del calo della popolazione di riferimento. Da sottolineare che su base annua la classe di età che segna una maggior incremento occupazionale è quella degli over-50 con più di 351.000 occupati; in termini assoluti la classe degli over-50 vale 9 milioni e 616 mila occupati, vale a dire il 40% dell’occupazione totale.
A marzo 2024 rispetto a febbraio risalgono i lavoratori indipendenti (+55.000), i lavoratori permanenti segnano +9.000 occupati e i lavoratori a termine salgono di 6.000 occupati; nell’arco dei dodici mesi i lavoratori a termine calano del 6%, i lavoratori permanenti crescono del 3,6% e anche gli autonomi recuperano uno 0,9% restando comunque sotto i livelli raggiunti negli anni pre-pandemia.
Il mercato cresce ancora, ma non altrettanto crescono i salari. Istat ha fornito l’andamento dei salari contrattuali per il primo trimestre del 2024: la retribuzione oraria media è cresciuta del 2,8% rispetto allo stesso trimestre del 2023, con un potenziale recupero di parte dell’inflazione. Se osserviamo le variazioni intercorse fra marzo 2024 e marzo 2023 notiamo una forte differenziazione fra i diversi settori economici, con l’industria al +4,7% annuo (+6,1% per i metalmeccanici), i servizi privati al +2,6% (pubblici esercizi e alberghi sono allo 0% e la distribuzione al +1,8%), mentre la Pubblica amministrazione è al +1,6%, con il Servizio sanitario nazionale al +3,2% e la scuola al +1,2%.
Insomma, non solo il recupero è parziale, ma la differenziazione resta alta, teniamone conto quando sentiremo i datori di lavoro che si lamentano perché non trovano dipendenti (e pagali!) o quando percepiremo il calo della qualità dei servizi pubblici, ovvero la difficoltà a reperire insegnanti.
In generale occorre ammettere che la contrattazione collettiva fa ancora un buon lavoro in termini di recupero salariale. A marzo, nel settore privato, solo due dipendenti su dieci sono in attesa del rinnovo del contratto collettivo, e questo è un indicatore di come i datori di lavoro stanno percependo le condizioni di restrizione progressiva del mercato. Assieme alla grande quota di over-50 che dominano il panorama occupazionale e alla quota di tempi indeterminati, la presenza di contratti collettivi siglati è un indicatore da tenere sotto osservazione.
Ora si tratta anche di capire quali effetti sortiranno le azioni previste dal Governo che ha annunciato incentivi all’assunzione a tempo indeterminato per giovani e donne con saldi occupazionali crescenti. Insomma, l’Esecutivo pare puntare sul cavallo che già vince, ed è assai probabile che continui a vincere; nel frattempo ha ottenuto un buon effetto annuncio; va da sé che anche rinnovare i contratti pubblici in attesa non sarebbe male per ridare potere d’acquisto una parte degli italiani che tutto sommato lavorano per tutti. Ma questo forse è più difficile.
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